A Carte Scoperte: Dragon Age

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a cura di Phoenix

Anche questa settimana, con la rubrica A Carte Scoperte, torniamo a fare due chiacchiere attorno ad un videogioco, torniamo a raccontare quelle soggettive emozioni, sensazioni, opinioni che ci legano, indiscutibilmente, ad un’opera videoludica. La mia intenzione, pertanto, non è quella di esprimere una verità, nè quella di ricercare un’oggettività che, fondamentalmente, non mi compete, bensì quella di condividere tutto ciò che un videogioco è riuscito a trasmettermi, e, in fin dei conti, anche ciò che, irrimediabilmente, non è riuscito a lasciarsi alle spalle.
Così, con una chiacchierata che ha il sommo pregio della sincerità e della trasparenza non solo videoludica ma anche, per mio costume, intellettuale, mi accingo a scoprire tutte le mie carte concernenti una saga che ha riportato alla luce antichi sentimenti, vecchi stili di gioco e profonde soddisfazioni, che fanno parte di tutti coloro che, come me, hanno amato giocare di ruolo all’interno di un’ambientazione fantasy.
Sto parlando, ovviamente, di Dragon Age, sviluppato da Bioware e che ha saputo, con freschezza, riportare alla luce un mondo che sembrava disperso e che, a mio parere, su console non era addirittura mai nato. Sono in molti che, secondo me, si sono accostati a questo gameplay solo con Dragon Age Origins, e, forse, all’inizio, lo hanno trovato decisamente frustrante, inappagante e, per certi versi, ingiusto. Eppure, la profondità che esso riusciva a trasmettere sin dall’inizio e la trama che, sin dalle prime battute, acquisiva mordente e coerenza, di certo hanno stimolato a proseguire l’avventura  anche i neofiti del genere, che hanno imparato a familiarizzare con la struttura di gioco, arrivando fino alla fine con la mia stessa amarezza, quel genere di sensazione che solo le cose belle lasciano, inesorabilmente, dietro di sè.
L’avventura di un Custode
La prima carta che ho intenzione di scoprire riguarda proprio Dragon Age: Origins, il primo titolo della saga. A mio parere, infatti, questo titolo è un vero e proprio esempio; BioWare, con questo titolo, è riuscita a trattenere tutti i topoi classici del genere GDR e della narrativa Fantasy elevandoli, nello stesso tempo, in una forma essenzialmente nuova e brillante. L’avventura dei Custodi Grigi è piacevole, intensa e non scontata; anche se il leitmotiv del titolo resta, più o meno, sempre il medesimo, l’avventura del protagonista che si sceglie di impersonare risulta, a conti fatti, assolutamente originale, ricca di tematiche piuttosto profonde, sia morali che politiche, riuscendo a sfruttare in maniera decisamente egregia un sistema di scelte che fa della semplicità una sua prerogativa.
In sostanza, è proprio l’originalità della visione di insieme che mi ha colpito profondamente quando ho giocato a Dragon Age: Origins. Un’originalità che mi ha spinto a rigiocare il titolo più volte, magari con un personaggio diverso, con specializzazioni diverse, facendo scelte diverse e prendendo un percorso differente.
Per quanto mi riguarda, quindi, il grande pregio del titolo BioWare sta proprio nella sua struttura generale, una struttura che non annoia e non stanca, in grado di regalare grandi soddisfazioni perchè riesce, con coerenza, ad immergere il videogiocatore in una trama che, per quanto possa sembrare scontata, è, a mio parere, assolutamente ben raccontata.
  
Al di là dell’Arcidemone
La mia seconda carta riguarda, invece, le vicende del secondo capitolo. La storia c’è, seguire l’ascesa del Campione di Kirkwall è interessante, e, alla fine, la trama potrebbe essere perfettamente inscritta nel filone narrativo dei “Gialli”…eppure c’è qualcosa che, quando penso a questo secondo titolo, mi fa storcere il naso, come una sensazione di delusione difficilmente spiegabile, ma nello stesso tempo estremamente sincera. Così, secondo me, in questo Dragon Age II gli sviluppatori hanno voluto, in un certo senso, esagerare un po’ troppo, dando vita ad una trama che, a conti fatti, è decisamente interessante ma che, pian piano, perde quel significato e quel mordente che avevano ben caratterizzato la storia del primo capitolo. Dragon Age II è ricco di missioni secondarie, di percorsi da prendere, di zone da esplorare, eppure, se osserviamo tutto dall’alto, le vicende davvero importanti che scandiscono la trama sono relativamente poche.
Per questo motivo, ancora oggi, continuo a preferire Dragon Age: Origins, con il suo spirito antico e  i suoi personaggi più profondi, più curati e più interessanti. Eppure, devo ammetterlo, anche Dragon Age II ha i suoi pregi, i suoi lati positivi, restando fedele alla struttura generale della saga. L’approccio più dinamico ai combattimenti, ad esempio, lo considero come una variante interessante, soprattutto per l’utenza console; un dinamismo che, secondo me, non distrugge la natura del titolo, ma si limita ad offrire semplicemente un modo diverso con cui giocarlo, anche se, va detto, Dragon Age II regala le più grandi soddisfazioni solo quando è giocato a livelli di gioco elevati e, soprattutto, quando viene affrontato nel modo “classico” dei GDR.
Etica e Magia
L’ultima carta che voglio scoprire riguarda una delle tematiche più interessanti di tutta la saga; la tematiche che ha animato tutto il secondo capitolo e che, con grande probabilità, andrà a costituire il leitmotiv principale del prossimo titolo. Il problema della Magia, e il suo stretto legame con l’etica del mondo di gioco, sono, a mio avviso, perfettamente tematizzati e sviluppati. Questa sorta di pessimismo etico nei confronti dei maghi, e del loro potere, è, di fianco al tema religioso, una colonna portante di tutta la trama, e rappresenta, a causa della mia forma mentis, uno dei motivi migliori per seguire attentamente ogni dialogo ed ogni affermazione.
Così, Dragon Age riesce, con grande maestria e originalità, ad affrontare alcune problematiche importantissime di ogni epoca, anche della nostra, e questo, per me, è un grandissimo pregio che condivido, scoprendo quest’ultima carta, assieme a voi.
In sostanza, è a mio avviso innegabile che questa saga di BioWare metta in mostra quanto sia complesso, e costitutivamente difficile, comprendere il confine tra paura e forza, tra razzismo e giustizia, tra bontà e stupidità, tra tolleranza e libertà; un confine che la splendida trama di gioco cela continuamente, lasciando che ogni videogiocatore si faccia una propria idea su quale sia, a conti fatti, il vero deus ex machina di tutte le vicende. 

La saga di Dragon Age mi ha sinceramente appassionato, e il primo capito resta, per me, uno dei migliori titoli della passata generazione. Spero che BioWare riesca a creare un titolo che sappia operare una giusta commistione tra i primi due capitoli, senza rinnegare la tradizione ma, nello stesso tempo, in grado di trarre beneficio dall’innovazione e dalla freschezza delle novità. Questa è la mia aspettativa per il nuovo Dragon Age, un’aspettativa motivata e sincera. Detto ciò, non ho più carte da scoprire.