I 30 anni di Bungie – I pionieri della fantascienza a videogioco

In occasione dei 30 anni di attività, ripercorriamo la storia di Bungie, gli sviluppatori che hanno dato vita ad Halo e Destiny.

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Il loro Halo: Combat Evolved è stato il piccone che Microsoft ha usato per abbattere la diga di PlayStation, e pochissimi anni dopo hanno sviluppato Destiny, uno dei videogiochi più costosi della storia dell’umanità. Tale è la storia di Bungie, gli sviluppatori partiti da Chicago nel 1991.

Il 7 dicembre 2021 la compagnia festeggia i 30 anni di attività, e quale miglior occasione per ripercorrere la storia di questi sviluppatori appassionatissimi e irriverenti? Allacciate le cinture del Warthog!

Gli inizi: il clone e il minotauro (1991-1993)

Sapevate che tutto è iniziato da un clone di Pong arrivato con vent’anni di ritardo? Pare assurdo, eppure è esattamente così che è nata Bungie. Nel 1990 un giovane di nome Alex Seropian stava studiando matematica all’Università di Chicago; rimasto deluso dal fatto che ai tempi non c’erano corsi a tema gaming e pressato dai genitori affinché si trovasse un’occupazione dopo la laurea, esordì con il bizzarro Gnop!. Si trattava appunto di un clone di Pong, che Seropian decise di distribuire gratuitamente; mise tuttavia in vendita il codice sorgente.

Per ovvi motivi, il nostro giovinastro si rese ben presto conto che con il solo sviluppo non sarebbe andato molto lontano; pertanto decise variare gli affari imboccando la strada del publishing. Il primo videogioco che trovò fu lo strategico per Macintosh Operation: Desert Storm, per il quale egli nel 1991 fondò ufficialmente la Bungie.

Da bravo spiantato, Seropian racimolò i soldi per la società da amici e parenti e realizzò personalmente confezioni e dischi.

L’operazione gli fruttò 2.500 copie piazzate, un buon successo che lo convinse a insistere; durante l’università incrociò il talentuoso Jason Jones, che stava lavorando a un videogioco di ruolo intitolato Minotaur (sempre su Macintosh) e gli si propose con successo come editore. Il gioco, poi rinominato Minotaur: The Labyrinths of Crete, sarebbe uscito nel 1992 tirando altre 2.500 copie. A quel punto Seropian e Jones si misero ufficialmente in società e si divisero il lavoro: il primo avrebbe fatto il business, il secondo si sarebbe occupato dell’aspetto creativo.

Bungie: la luce in fondo al sentiero, la Maratona e l’Oni (1994-2001)

In realtà c’è da dire che Minotaur era stato solo un modesto successo; tuttavia bastò affinché Bungie potesse mettersi al lavoro su un altro progetto originale. Da questa ambizione nacque nel 1993 Pathways Into Darkness, un ibrido tra first-person shooter e l’action-adventure originatosi da un po’ di smanettamento su Wolfenstein 3D. Pathways Into Darkness portò finalmente Bungie al successo: con le sue ventimila copie lo studio poté finalmente permettersi di spostarsi dai dormitori universitari a un ufficio serio di Chicago. Il cambio di sede comunque non intaccò quell’atmosfera giocosa, informale e irriverente (appunto “universitaria”) che diverrà una caratteristica distintiva del loro ambiente di lavoro.

Disfatti gli scatoloni e assunti i primi dipendenti, l’anno successivo Bungie consolidò il proprio nome con Marathon, altro shooter per Mac stavolta a tema fantascienza. Ambientato in una colonia umana situata su una delle lune di Marte, Marathon metteva il giocatore nei panni di un silenzioso ufficiale che, aiutato da un’Intelligenza Artificiale chiamata Leela, doveva affrontare una razza aliena chiamata S’pht e i loro sottoposti Pfhor.

Se (nomi a parte) tutto ciò vi sembra familiare è perché Marathon appunto presenta molti elementi sia di gameplay che di ambientazione che poi diverranno essenziali nella definizione dello “stile Bungie”, nonché (come vedremo) punto di partenza per quella che sarà la loro IP di punta. Marathon, a seguito di uno sviluppo asfissiante, fu un grande successo da oltre centomila copie e due sequel (Marathon 2: Durandal del 1995 e Marathon: Infinity del 1996).

Ormai con le spalle coperte, Bungie cominciò a pubblicare anche su Windows; il primo videogioco ad avere una pubblicazione in contemporanea su tutti e due i sistemi operativi fu lo strategico Myth: The Fallen Lords (1997). Con sorpresa di un po’ di tutti, questo divenne il titolo di maggior successo commerciale della compagnia, piazzando trecentocinquantamila copie e incassando sette volte i costi di produzione.

A fargli fare la differenza nel genere strategico (che in quegli anni stava attraversando un periodo assai florido) fu il suo abbandono della raccolta risorse in favore della totale gestione delle unità, della strategia e la tattica militari; tanto che il gioco si auto-rinominò RTT, Real-Time Tactics.

L’inaspettato flusso di denaro portato da Myth permise a Bungie di osare un altro po’: l’azienda decise di aprire una sua filiale in California, battezzandola Bungie West. I giovani arruolati per l’occasione svilupparono l’ormai dimenticato Oni. Ispirato a Ghost in the Shell, era un curioso ibrido tra lo shooter in terza persona e il picchiaduro a incontri.

Nonostante l’approfondita trama e l’universo cyberpunk, il gioco non registrò il medesimo successo dei suoi fratelli di Chicago, e Bungie West venne presto destituita dallo sviluppo autonomo. Curiosamente, Oni è stato l’unico titolo Bungie a vedere la luce anche su PlayStation 2, sulla quale fu pubblicato da Rockstar Canada.

La svolta: Halo Combat Evolved (2001)

Mentre Bungie West apriva i battenti, nel 1999 Alex e Jason dovevano decidere cosa far fare alla sede principale. Ripartendo da Marathon e mettendo lo stesso Jason Jones alla regia, stava nascendo Halo: Combat Evolved. Il gioco fu rivelato al grande pubblico al Macworld Expo dello stesso anno, dove ebbe la fortuna di essere introdotto nientemeno che da Steve Jobs. Tuttavia, subodorando il capolavoro, fu la Microsoft a proporsi per mettere la compagnia sotto contratto.

L’offerta era allettante, ma i fondatori di Bungie risposero con riluttanza. Il progetto di Halo era talmente ambizioso che in azienda avevano già rinunciato a PlayStation 2, ma la tentazione rimaneva enorme: la compagnia di Bill Gates era la prima azienda seria (dopo una vecchia offerta di Activision) a proporsi, e la Xbox incredibilmente performante.

Nello stesso periodo Bungie fu poi vessata da un brutto evento: il sequel di Myth (Myth II: Soulblighter) venne infatti piagato da un pesante bug che formattava l’hard disk dei computer dove veniva installato. In un’epoca senza patch e poco internet il problema obbligò la compagnia a un massiccio reso di copie: un salasso da oltre un milione di dollari.

Alla fine, i ragazzi di Bungie si decisero per l’acquisizione, lasciando i diritti di Myth e Oni alla Take 2. In quei giorni fu assunto anche il compositore Martin O’Donnell, messo subito a lavorare alla colonna sonora di Halo. Ne venne fuori un altro periodo di sviluppo estenuante, tra il caos del «non sappiamo che stiamo facendo ma è fichissimo» e i dipendenti costretti a dormire in ufficio.

La storia però ha un lieto fine: Halo: Combat Evolved venne pubblicato come esclusiva Xbox il 15 novembre del 2001 e fu l’enorme successo che tutti conosciamo. Ancora oggi acclamato come uno dei migliori videogiochi di tutti i tempi, Halo divenne la ragione principale per cui la prima Xbox era degna di essere comprata.

Il consolidamento: Halo 2 (2004)

Halo: Combat Evolved vinse la sua sfida grazie all’esteso universo narrativo, il ricco background e a un gameplay elegante, che univa lo shooting all’esplorazione di ambienti estesi e rigogliosi, nonché alla capacità di guidare veicoli. Trainato dall’affascinante campagna giocatore singolo e dalla ricchissima modalità multigiocatore (sfruttata anche nel mondo dei machinima), Halo: Combat Evolved uscì su PC un paio d’anni dopo, dopo aver piazzato più di 6 milioni e mezzo di copie su Xbox.

Per ovvi motivi, il sequel divenne un imperativo categorico: Halo 2 uscì nel novembre 2004, dopo altri tre anni di sviluppo a dir poco travagliato. Dove Jason Jones continuava stancamente a tenere le redini di Halo, nel 2002 il fondatore di Bungie Alex Seropian decise di lasciare la sua creatura.

La motivazione ufficiale fu che voleva dedicarsi alla famiglia, ma le malelingue si sprecarono a dire che avesse abbandonato perché frustrato dalle dinamiche lavorative aziendali. L’obbligo di far uscire Halo 2 durante entro l’ultima estate della prima Xbox (la Xbox 360 era ormai all’orizzonte) costrinse lo studio ad un altro estenuante crunch-time.

Com’era prevedibile, Halo 2 di Bungie si rivelò un altro successo planetario, e con le sue quasi 8 milioni e mezzo di copie divenne il titolo più venduto della prima Xbox. Un successo oggettivamente enorme, capitato tra l’altro al momento giusto: proprio all’alba della settima generazione il videogioco cominciò ad avere l’attenzione mediatica generalista anche come fenomeno culturale e non solo come “macchina devia-giovani”. Tanto che ai tempi ci fu chi, sull’onda del suo successo e impatto, disse che la saga di Halo era per il videogioco fantascientifico quello che Star Wars era stato per il cinema.

Finire la lotta: Halo 3 (2007)

Nonostante il primo Halo fosse partito come storia autoconclusiva, il successo aveva portato a un inevitabile sequel, che invocava a gran voce la trilogia. Fu così che, poco dopo aver finito Halo 2, alla Bungie si cominciò a pensare a come chiudere la partita con Halo 3. E come i suoi predecessori, mettere un punto alla crociata di Master Chief non fu semplice.

Allo scontento per le pressioni ricevute alla Bungie per finire in fretta Halo 2 (tanto da far tagliare tutto l’ultimo atto della campagna single-player) si sommò il fatto che dopo Halo 2 Jason Jones lasciò la regia della serie. Il deus ex-machina di Bungie infatti si prese un periodo sabbatico, stanco dei sequel e desideroso di voler fare qualcosa di nuovo.

Con lo studio inevitabilmente diviso su chi avrebbe dovuto prendere le redini del gioco, Bungie attraversò quindi l’ennesimo periodo di incertezza. Halo 3 rimase senza una trama ben definita per un bel po’: un comitato di autori interni si palleggiò gli script finché lo sceneggiatore veterano Joseph Staten non tornò dalle ferie e rimise tutti in riga.

«Nel momento in cui tornai nello studio, Halo 3 era già stato abbastanza definito. Era ancora la storia che avevamo sempre voluto raccontare: Master Chief salva Cortana dalla Mente Suprema e uccide il Profeta della Verità. Ma fui riportato a bordo al momento giusto per revisionare e correggere tutti gli script».

– (Joseph “Joe” Staten sul suo lavoro su Halo 3; trovate la storia completa qui)

C’è da dire che, al netto del solito inizio travagliato, Halo 3 andò più liscio nello sviluppo. Il gioco venne spostato sull’allora neonata Xbox 360, sulla quale uscì nel 2007 dopo una massiccia campagna di marketing. Com’era prevedibile, l’allora avventura conclusiva di Master Chief sbancò i botteghini di tutto il mondo, generando 300 milioni di dollari di ricavi solo nella prima settimana; il conteggio finale di copie piazzate superò i 14 milioni e mezzo.

L’addio all’Anello: ODST e Reach (2009-2010)

Qualche giorno dopo la commercializzazione di Halo 3, Bungie e Microsoft rinegoziarono il loro accordo e Bungie riuscì a tornare indipendente, pur rimanendo in partnership con la compagnia di Bill Gates per sviluppare ancora per qualche anno prodotti ambientati nell’universo di Halo. Infatti, nonostante Halo 3 fosse stato pensato come atto conclusivo della storia, Bungie avrebbe dovuto aspettare ancora qualche anno prima di potersi veramente dedicare ad altro.

Nel 2009 vide la luce Halo 3: ODST, espansione giocabile anche in solitaria la cui trama scorreva parallela a quella di Halo 2. Con il suo tenere la lotta di Master Chief e degli Spartan solo sullo sfondo, Halo 3: ODST fu di fatto un progetto di dimensioni più contenute, a cui si dedicò un team di Bungie rimasto inattivo a seguito di numerosi progetti avviati e poi cancellati (tra cui un fantomatico Halo: Chronicles che avrebbe dovuto coinvolgere persino Peter Jackson, regista de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit).

Nonostante una critica abbastanza lusinghiera, che ne lodò soprattutto la colonna sonora jazz di O’Donnell e l’atmosfera quasi noir (in contrasto con i toni epicheggianti della saga principale), Halo 3: ODST per forza di cose non bissò il successo del passato. Tra i malumori di critica e pubblico ci fu anche il prezzo, da molti giudicato come eccessivo.

In effetti, l’ultimissimo exploit di Bungie nel suo franchise più fortunato si sarebbe compiuto solo l’anno successivo: nel 2010 venne pubblicato Halo: Reach. Ancorata nuovamente al genere del first-person shooter, Bungie decise di dare il suo addio ad Halo raccontandone un momento finora solo accennato, ovvero la caduta del pianeta Reach da parte dei Covenant. Per farlo venne creato il Noble Team, sei Spartan che con il loro sacrificio avrebbero permesso l’innescarsi degli eventi del primo Halo.

In effetti, la caduta del pianeta Reach era stata fino a quel momento raccontata solo da Eric Nylund nel romanzo Halo: La Caduta di Reach (originariamente pubblicato nel 2001 ma in Italia arrivato solo nel 2007). Nonostante molti fan notarono che Halo Reach pareva in parte contraddire tale romanzo, stavolta Bungie fu in grado di inscenare il suo canonico successo: acclamato dalla critica, Halo Reach generò 200 milioni di dollari di ricavi solo nel primo giorno di uscita, lievitati a 350 nelle prime due settimane.

Questo ultimo apice permise a Bungie di staccarsi da Microsoft con la coscienza pulita, lasciando alla sussidiaria 343 Industries il compito di continuare l’universo di Halo.

Bungie: dal puntare alle stelle a vedere le stelle è un attimo (2010-2014)

Microsoft avrebbe portato avanti Halo con remaster rispettose e una nuova trilogia (ancora in corso, e che vedrà il terzo capitolo Halo: Infinity venire distribuito a partire dall’8 dicembre 2021: il nostro Marino lo ha recensito qui), mentre Bungie completò il distacco con lo scioglimento del contratto. Al voltare pagina della compagnia si sommò il ritorno di Jason Jones: nel suo periodo di pausa il dirigente aveva ripreso il suo vecchio amore per i giochi di ruolo fantasy, e il delinearsi di una nuova IP era l’occasione perfetta per tornare in gioco.

A rilanciare l’offerta di sviluppo fu proprio Activision, e stavolta Bungie accettò: la partnership decennale le lasciò pieno controllo creativo. Stavolta tutto parve andare per il meglio, almeno all’inizio: le personalità che avevano dato lustro allo studio erano tornate in team ed erano pronte a dare all’industria videoludica una nuova bomba. Dalla fusione tra fantascienza e mitologia nasce quello che oggi conosciamo come Destiny.

Ancora una volta Bungie puntò alle stelle: spalleggiata da Activision, Destiny si configurò come una mastodontica epopea, “che i giocatori potessero mettere accanto a Star Wars ed Harry Potter. Il gioco ebbe ambizioni enormi, con la chiamata di celebrità (Peter Dinklage avrebbe fatto da voce guida per il giocatore) e il coinvolgimento di Paul McCartney, che collaborò con il solito O’Donnell per la composizione della Music of the Spheres, sinfonia in otto movimenti. Tra sviluppo e marketing il budget del gioco toccò il mezzo miliardo di dollari, cosa che gli fece guadagnare per direttissima un posto tra i videogiochi più costosi di tutti i tempi.

Purtroppo con i soldi e l’ambizione arrivarono anche i problemi: buona parte del gioco era stata scritta già nel 2013, ma il team di sceneggiatori capitanato da Joe Staten andò nel panico quando dalla dirigenza imposero una pesantissima revisione e scarto di buona parte del materiale. La motivazione addotta fu che una trama così massiccia e lineare non si sposava con il dare libertà al giocatore.

«Nei pochi mesi successivi, sotto la guida dei cambiamenti ordinati dalla dirigenza, gli sviluppatori di Bungie hanno continuato a costruire Destiny. Ci hanno detto che la priorità dello studio in quel momento era di pulire e perfezionare il gameplay: il feeling dello shooting (cioè quello che avresti fatto nel gioco), come avrebbe funzionato gli spazi pubblici, come avrebbero funzionato gli incontri. Scelsero questo, anziché scrivere una grande storia; la narrativa fu messa in fondo alla sala, esattamente come chi la scriveva. 'Il team di scrittori messo in piedi da Joe [Staten] fu ostracizzato. Hanno scritto una sceneggiatura senza gli sceneggiatori'».

(Jason Schreier, The Messy True Story Behind the Making of Destiny; potete leggere l’articolo integrale su Kotaku in inglese qui)

Come risultato, il design si ritrovò dover a ripensare da capo le missioni della storia principale a pochi mesi dall’uscita. Staten decise di andarsene lasciando il suo team senza guida, e pochi mesi dopo fu anche il turno di Martin O’Donnell, la cui controversia finì addirittura in tribunale.

Bungie e il post-Destiny (2015-2016)

Destiny arrivò su ottava generazione il 9 settembre 2014: spinto da una campagna marketing di amplissimo respiro, l’allora ultima fatica di Bungie recuperò i costi di produzione e marketing nel primo giorno di pubblicazione. Il conteggio delle vendite salì vertiginosamente, e a un anno dalla pubblicazione si parlò di più di 20 milioni di copie distribuite. Ma se i problemi nello sviluppo non intaccarono il risultato commerciale di Destiny, non si può dire lo stesso della critica.

Il gioco ricevette un’accoglienza sensibilmente meno lusinghiera del passato, e non mancò chi si limitò alla risicata sufficienza. Oggetto di critiche furono la storia molto debole e la struttura fin troppo aleatoria (specialmente nell’ottenimento di equipaggiamenti e bottino). Vi fu comunque un certo beneficio del dubbio, in quanto era stata promessa sin da subito l’espansione dell’universo narrativo tramite i contenuti post-lancio.

Bungie mantenne la promessa, continuando a supportare Destiny per i due anni successivi. Nel 2015, alla pubblicazione dell’espansione Il Re dei Corrotti, la struttura del gioco viene pesantemente rimaneggiata, in un evidente tentativo di ascoltare i feedback dei giocatori. L’espansione viene però sfruttata da Bungie per un altro cambiamento: Peter Dinklage venne sostituito da Nolan North nel ruolo di Ghost. La motivazione del cambiamento fu puramente tecnica: Dinklage (che aveva raggiunto la fama internazionale nel 2011 con l’interpretazione di Tyrion Lannister ne Il Trono di Spade) era un attore poliedrico, e non sempre era disponibile per andare da Bungie a registrare altri dialoghi.

North dal canto suo recitava esclusivamente o quasi nel settore videoludico (è da sempre Nathan Drake, il protagonista di Uncharted) e pertanto era più reperibile.

Destiny 2: Alle stelle Bungie, alle stelle (2017-presente)

Data la mole di denaro mossa dal primo Destiny, un sequel era di nuovo materia scontata. Alla Bungie il suo sviluppo venne portato avanti in maniera parallela alle espansioni del primo gioco, e proprio dall’ultima di queste (pubblicata nel 2016) il futuro Destiny 2 avrebbe ripreso le mosse. Uscito nel 2017, Destiny 2 rappresentò anche l’esordio di una nuova generazione di lavoratori per Bungie: Jason Jones non tornò alla regia, che fu affidata a un trittico comprendente anche l’ex giornalista Luke Smith.

Bungie ancora una volta tentò di ascoltare il feedback degli utenti, cosa che venne riconosciuta anche dalla critica: questa fu sensibilmente più generosa con il gioco, seppur ne riconobbero la struttura rimasta inalterata rispetto al predecessore. Dopo aver visto la luce, Destiny 2 venne a sua volta foraggiato con numerose espansioni, che fecero coppia con un altro distacco: nel 2019 Bungie decise di chiudere la partnership con Activision, facendosi carico anche del publishing della loro creatura.

E questo è il nostro presente. Bungie è stata relativamente assente dalla scena videoludica negli ultimi anni; internamente ha voluto avviare un’ulteriore espansione, che si avvia a raddoppiare il numero dei dipendenti. Dal canto suo, Destiny 2 ormai è entrato nel quinto anno di vita e continua a vendere, ma la compagnia non ha mai lasciato perdere l’idea di una nuova proprietà intellettuale. Finora abbiamo solo indizi, offerte di lavoro in cui si parla di un altro FPS multigiocatore con l’ambizione di sfondare anche negli esports.

Le stime per questo progetto ancora senza nome parlano di un generico 2025, quindi è lecito pensare che Destiny 2 continuerà a essere supportato almeno fino a quell’anno. Ma a prescindere da cosa decideranno di fare, Bungie è sempre la stessa: punta alle stelle, con quell’ingenuità universitaria ma a cui non si può che voler bene, almeno un minimo. Buon trentesimo compleanno Bungie, e cento di questi giorni!

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