Xbox Game Pass è una (prima) risposta alla generazione Fortnite

Mondi diversi che possono, e devono, incontrarsi

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a cura di Paolo Sirio

Prendiamoci un attimo per sederci e parlare di Fortnite, l’autentico elefante nella stanza quando, nel 2021 e ormai da qualche anno, si parla di gaming. Il videogioco più popolare in circolazione è anche quello più odiato (letteralmente, e in un senso stranamente viscerale) da chi si professa cultore del medium, ma costituisce senza ombra di dubbio il titolo più influente dell'ultimo decennio, sia che si parli di giochi stessi, sia che al centro del discorso ci siano i giocatori.

È un tema particolarmente spinoso perché, nella stampa specializzata di cui facciamo parte, lo shooter multiplayer di Epic Games è assimilabile alla polvere da nascondere sotto al tappeto; eppure c’è, ha un ruolo, e avrà – forse è meglio dire “ha” – ripercussioni sull’intero mezzo e non soltanto su una sua sfumatura particolare, come potrebbe essere quella della fascia di utenti più giovani (che un giorno diventeranno i consumatori più consapevoli di intrattenimento videoludico e non).

L’industry ha del resto implementato diversi strumenti per tentare di assorbire il colpo e replicare quelle stesse componenti che hanno segnato il successo di Fortnite, talvolta in maniera sbiellata (come nel caso delle microtransazioni di uno Star Wars Battlefront 2, per citarne uno di tanti), in altri casi con maggiore fortuna, vedasi un Fall Guys o un Among Us, ma comunque sempre all’ombra del gigante.

Capire Fortnite

Con Fortnite, fenomeno sociale e videogioco vanno a braccetto, sebbene quest’ultimo aspetto tenda a venire sfumato per la vocalità dei detrattori. Cosa piace di Fortnite, perché funziona? Si tratta indubbiamente di un caso molto particolare, se consideriamo che è uno shooter che non “vince” in quanto tale ma per tutte le sue componenti accessorie che accessorie, in realtà, non lo sono affatto.

Come gioco, ha una grande popolarità tra i giovani perché li ispira alla creatività e non li ingabbia in binari artificiali: ti ci puoi creare la tua “arena”, costruendoti letteralmente il terreno sotto i piedi mentre spari e continui a sparare contro un avversario, ad esempio, che è qualcosa che in FPS più tecnici e rigidi come un Counter-Strike – non a caso, non popolari tra i giovanissimi – non è possibile fare. Gli hero shooter sono un’intelligente via di mezzo, ma il genere privo di contaminazioni prevalenti, così come con gli RTS e i MOBA, è difficile che sfondino in quel segmento generazionale.

Una caratteristica assimilabile (e non a caso esplorata da Fortnite con la modalità Creativa) user-generated content, o UGC, è particolarmente importante nel videogioco moderno, perché permette ai giocatori di esprimere le proprie personalità e sentirsi parte non soltanto di una community, ma di una cultura. Sono molto istruttive le dichiarazioni su Skate 4 di Andrew Wilson, corteggiatissimo CEO di Electronic Arts che ai tempi di EA Sports ha introdotto il multimiliardario Ultimate Team e che, non certo per una coincidenza, sta venendo trattenuto a suon di ritocchi milionari all’ingaggio come fosse Cristiano Ronaldo:

«Per molte persone, lo skateboard non è solo uno sport: sblocca il loro accesso all’arte, alla cultura. Se seguite una persona che si chiama Nyjah Huston su Instagram, uno dei più grandi skateboarder al mondo, scoprirete che è un giovane che ha iniziato con lo skateboard ma è ora un’icona della moda e dell’arte che vive in una grande casa a Beverly Hills e gira in una Rolls Royce.

[…]

Lo skate è un punto d’inizio che ha appeal ma inizi a costruirci sopra contenuti generati dagli utenti, esplorazione e community, e quello espande l’opportunità in maniera esponenziale.

Quindi, mentre pensiamo al nostro futuro e pensiamo alla crescita, una grande parte è costituita dallo scegliere giochi che non abbiano appeal in sé ma possano beneficiare di trend secolari nelle nostre community che pensiamo cresceranno anche oltre le nostre aspettative iniziali»

Questo genere di affermazione rende bene l’idea del perché il gaming abbia avuto un’invasione di dinamiche RPG con il pretesto di innestare l’amato gioco di ruolo in altri generi che non l’avevano mai sfiorato con un dito; chiaramente, l’attenzione non è rivolta nel dettaglio al gameplay quanto alla sua monetizzazione.

Dall’altro lato, evidentemente, abbiamo colori sgargianti e skin, che sono soltanto dei mezzi per attirare utenti nel loop. Il loop esiste, ed è alimentato dalle regole del gioco – o meglio, dalla loro assenza: giochi con tutta la libertà della tua creatività in un mondo dove tutto può succedere, in cui si passa dalle ospitate di Thanos, Superman, Loki e via discorrendo alle invasioni di dinosauri perché è semplicemente divertente che ciò accada.

Come spiegato con Valentino Cinefra nel nostro video, è chiaro che una piattaforma con questi connotati – nella quale si danno concerti e si guardano film, e che viene usata anche dai player tradizionali per affermarsi presso una platea nuova (Master Chief e Kratos ne sono diventati due personaggi, per dire) – costituisca il terreno perfetto per la costruzione di un vero e proprio evento sociale per il suo target: i più giovani lo vivono insomma come una puntata di Dragon Ball all’ora di pranzo o la partita a carte di Pokémon per chi è nato e cresciuto negli anni ’90, qualcosa che se non fai vale “l’esclusione” dal gruppo.

Con queste premesse, come fenomeno, Fortnite avrà un impatto persino più grande di quello che vediamo oggi. Questa generazione che sta venendo coltivata da Epic Games avrà probabilmente un altro tipo di richiesta ed esigenza rispetto ai videogiochi quando sarà matura; potrebbe sviluppare pensieri come “questo gioco è troppo lento”, “questo gioco ha colori troppo spenti”, “questo gioco è poco personalizzabile”.

Se ad alcune di queste dinamiche l’industria si sta già adeguando, la difficoltà più grande (e spesso per ragioni puramente ideologiche) è soprattutto sul piano delle piattaforme: all’utente giovanissimo che si dà alle battle royale non puoi porre paletti su concetti come cross-save, cross-progression, cross-platform – e non puoi nemmeno spiegarli perché per loro è una cosa naturale. Fare di queste tre parole chiave la normalità, appare chiaro, sarà la grande sfida tecnologica della Gen 9.

Il ruolo di Xbox Game Pass

Specialmente su quest’ultimo tema, Xbox Game Pass e la sua apertura mentale rappresentano un grosso contributo al panorama dei videogiochi post-Fortnite, che inevitabilmente non sarà, e non è, più lo stesso dalla sua affermazione di qualche anno fa ormai. È evidente come quello di Epic Games sia un fenomeno che ha superato ampiamente i confini del gaming, abbracciando (qualcosa del genere accadde con Wii in tempi non sospetti ed è uno dei mantra di Nintendo da sempre) fasce d’utenza che non sapevano neppure di essere potenzialmente dei gamer.

Una volta che tale utenza viene intercettata vanno trovati dei modi per trattenerla e continuare a tenerla nel circolo dei videogiochi, gradualmente più virtuoso a seconda del ramo a cui la nuova leva voglia andare a rivolgersi. Le va spiegato e mostrato, insomma, che c’è dell’altro, e in questo senso la posizione di Microsoft è salvifica per il gaming (oltre che opportunistica, naturalmente: parliamo di una userbase da 3 miliardi e oltre).

In una fase come quella della seconda metà del ciclo vitale di Xbox One, quando Xbox si risollevava dalle sue stesse macerie con grande fatica, Phil Spencer è stato lucido a rispondere continuamente che, sì, pure Redmond avrebbe prodotto un suo The Last of Us, ma che non si sarebbe appiattito su un tipo – e uno soltanto - di esperienza già reperibile altrove.

Xbox Game Pass rispecchia e accompagna al 100% questa visione, perché viene proposto come uno strumento potentissimo per ampliare gli orizzonti dei consumatori – che siano alle loro prime armi, che amino rintanarsi nelle esperienze che già conoscono, che ci siano finiti dentro mandati dritti dritti da Fortnite e/o da un genitore che gli ha messo il tablet o lo smartphone in mano per tenerlo buono (adesso e in un futuro vicinissimo).

Anche perché il fattore economico è direttamente proporzionale al quantitativo di rischi che ti vuoi e puoi permettere di prendere: se devi spendere 70-80 euro, è comprensibile che tu sia meno incline ad investire in qualcosa che non rientri nella tua comfort zone, o pure che non sai se lo faccia. Su Xbox Game Pass, vista la cifra accessibile richiesta per l’ingresso, e il fatto che entri per un gioco e ne hai a disposizione centinaia senza costi aggiuntivi, puoi provare un RTS, un roguelike e tutti questi generi strambi per il giocatore medio (o, per mutuare un’espressione da Valentino, “maggioritario”) praticamente azzerando il fattore del rischio.

Specie per l’utente Fortnite, meccanismi come una direzione artistica attraente, una bella copertina, un tema audace costituiscano dei ganci importanti – non perché chi gioca a Fortnite non abbia capacità di giudizio, intendiamoci, ma perché questi trigger sono esattamente gli stessi innescati dalla vivace battle royale di Epic.

Frequentemente i gamer più in là con gli anni pongono all’attenzione pro e contro di Xbox Game Pass, e noi su SpazioGames siamo sempre stati in pole position nel sottolineare che gli effetti di un simile modello di consumo richiederanno tempo per venire valutati con serietà; tuttavia, questo è pacificamente un grande beneficio, e un servizio che la libreria on demand di Microsoft sta fornendo al gaming – aprendo le porte di tutto, a tutti.

Con questo genere di proposta, in quanto piattaforma, può essere una prima risposta alla generazione Fortnite. Non sappiamo come quest’ultimo plasmerà i gusti dei giocatori del futuro, e ironicamente vale pure qui lo stesso discorso del pass, ma intanto con un abbonamento – lo stesso business model di Netflix ormai assimilato dai giovani – stai fornendo una risposta su tre di quelle domande ed esigenze cui accennavamo:

  • Gioco gratis
  • Cambiamenti continui e fruizione veloce
  • A prescindere dalla piattaforma, specie su smartphone e tablet

Per una generazione post-Fortnite, è plausibile che diventi sempre più complicato motivare la richiesta di un esborso di (fino a) 80 euro, soprattutto in virtù del fatto che le esperienze free-to-play – già incredibilmente articolate oggi – si faranno sempre più accattivanti e vicine, se non alla pari, a quei prodotti tripla-A per i quali è necessario mettere mano al portafogli con importanti spese una tantum (quando va bene).

L’idea di un abbonamento può essere una via di mezzo (e su questo uniamo i punti 1 e 2) tra l’esigenza di monetizzare dei publisher, e quelle dei giocatori di poter avere tutto a disposizione senza la soglia mentale dell’acquisto premium davanti a sé e di cambiare velocemente, in maniera radicale, non solo il contenuto ma il tipo di contenuto di cui stanno godendo.

Con le grandi manovre avviate da un anno e lanciate in pompa magna a ridosso dell’E3 2021, la barriera delle piattaforme teoricamente non esiste più; nella pratica, avrà bisogno di rodaggio su due punti, ovvero la disponibilità su Xbox Cloud Gaming di tutti i giochi (alla quale si arriverà per i titoli disponibili, è questione di tempo, mentre le new entry ci saranno dal giorno del lancio) e il perfezionamento della rete, ora passata su Xbox Series X e destinata al perfezionamento da qui ad un anno – giusto in tempo per Starfield e gli altri big di Microsoft.

In conclusione

Chiaramente non è tutto rose e fiori, e quei dubbi sul modello di Xbox Game Pass che abbiamo menzionato lungo la nostra analisi, inevitabilmente, permangono. Il rischio di non approfondire i giochi, passando da uno all’altro ogni quarto d’ora a causa dell’offerta all you can eat, è dietro l’angolo e non è qualcosa in cui si incappa in genere quando si spendono 80 euro – in quei casi o vai sul sicuro e quindi ti piacerà, o “te lo fai piacere” per la portata dell’investimento fatto.

Ma un pericolo ancora più massiccio è che il modello influenzi il design dei giochi che lo impreziosiscono: videogiochi che si accontentano della sufficienza perché devono fare numero e basta, o di una certa durata perché l’importante è che escano; oppure peggio, come profetizzato da Josef Fares nell’intervista di pochi mesi fa, prodotti con una monetizzazione aggressiva per rientrare della spesa nel momento in cui Microsoft dovesse rendersi conto di profitti non all’altezza e non volesse fare passi indietro troppo marcati.

Ma, dopo aver discusso così a lungo dei potenziali contro, è il caso di sottolineare i benefici della piattaforma sul medio e lungo termine; e cioè offrire una sponda – per tutto il gaming – a chi ci si era avvicinato solo di striscio con quel mondo parallelo che è Fortnite. C’è una generazione intera da “educare” al videogioco e Xbox Game Pass può essere un eccellente insegnante.

Kratos è uno dei protagonisti di Fortnite, per quanto possa sembrare incredibile; avete provato la sua ultima avventura in God of War?