I rischi del remake di Dead Space (che vale la pena correre)

Riportare in vita Dead Space è rischioso, ma ne vale la pena.

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a cura di Paolo Sirio

L’annuncio principe di EA Play Live è stato Dead Space, revival del franchise horror di Electronic Arts, che si è esibito in un breve video da “one more thing” alla fine dell’evento. Chiaramente avremmo preferito un approfondimento maggiore ma è probabile che queste modalità siano state scelte compatibilmente con le tempistiche del progetto, che dovrebbe essere ancora distante svariati anni.

Nonostante i pochi elementi a disposizione, con altri che curiosamente sono stati svelati dopo EA Play Live in interviste che forse si sarebbero potute affidare all’evento (sempre ammesso, come sopra, che la scelta del tono dimesso sia stata fatta proprio per gestire le aspettative sull’uscita), possiamo già concederci qualche riflessione e un po’ di sana speculazione al riguardo.

In particolare, oggi approfondiamo i rischi di un’operazione del genere - che sono in parte quelli connessi tipicamente ai rifacimenti di ogni natura, in parte quelli collegati ad un prodotto che esce dagli uffici di Electronic Arts – e il perché, vada come vada, valga la pena affrontarli nel nome di un titolo che ha le potenzialità per raggiungere il livello qualitativo impostato dal remake di Resident Evil 2.

I rischi del mestiere

Dead Space è una serie associata visceralmente (!) al suo autore, Visceral Games, che con lei aveva trovato una forse inattesa consacrazione. Sappiamo bene le sorti di quella software house, chiusa dopo aver terminato il lavoro proprio su questo franchise ed essersi barcamenata per qualche anno tra Battlefield e la martoriata gestione della licenza di Star Wars da parte della proprietà californiana.

Avere il remake di un gioco dopo che il suo studio originale sia stato chiuso non è affatto una pratica nuova nel mondo dei videogiochi, un’industria che si fa ben pochi problemi quando c’è da rispettare il lavoro, e di una certa irrispettosità si potrebbe parlare vedendo che EA sta adesso promuovendo il ritorno di una serie che essa stessa aveva cestinato dopo averne forzato un’inapprezzata svolta ludica.

Guardando sotto il tappeto, ci sono diverse ragioni per cui adesso sì e prima no, tra cui – considerazione puramente finanziaria – la location in cui sta venendo realizzato questo prodotto e le modalità che si stanno seguendo: il Canada che ospita Motive Studios è molto più economico rispetto alla Baia di San Francisco dove sorgeva Visceral Games, e gran parte del lavoro (a cominciare dalla sceneggiatura, che al più verrà adattata, passando per gli asset artistici) è già stata svolta, quindi fosse pure soltanto un progetto per mandare avanti la giostra avrebbe molto senso per il publisher.

Il curriculum di Motive è del resto ancora in costruzione e questo sarà il primo vero “grande” progetto che le sarà affidato: qualcuno potrebbe non vederlo come tale e in effetti trattasi di semplice remake, con lo spettro della fantomatica nuova IP in cantiere da una vita sullo sfondo, ma se pensiamo che prima di adesso lo studio ha lavorato alla campagna di Star Wars Battlefront II e a Star Wars Squadrons, ecco che abbiamo per le mani l’opportunità di dimostrare di meritarsela, quella nuova proprietà intellettuale.

Presumibilmente, visto quanto EA ha dimostrato di (non) credere nella saga di Isaac Clarke, è plausibile che questo fosse l’unico quadro in cui un suo recupero sarebbe stato ammissibile per i vertici della casa nordamericana, impegnata sì ad assecondare la sempre più profonda venatura sportiva ma anche a rilanciarsi con cautela (dopo il caso di successo di Star Wars Jedi Fallen Order) nel ramo single-player.

Ciò non toglie che sia un quadro potenzialmente scivoloso, al pari del motore grafico utilizzato: il Frostbite di DICE. Sono passati ormai diversi anni da quando Electronic Arts lo ha imposto come tecnologia “middleware” alle software house del suo gruppo, combinando alcuni dei peggiori disastri nella storia del gaming.

Team quali quelli di BioWare hanno dovuto scriverne interi pezzi perché, in sostanza, l’engine era stato creato con Battlefield e i giochi in prima persona in mente, e persino una banalità del livello di una visuale in terza persona non era supportata; questo ha comportato miriadi di rinvii e ritardi sulle tabelle di marcia, nonché i problemi tecnici che i giocatori sono soliti derubricare con un “questo gioco è buggato, xd”.

Dai tempi di Dragon Age Inquisition ne è passata di acqua sotto i ponti, eppure il pensiero di un survival horror in terza persona poggiato su quello stesso Frostbite non ci fa stare particolarmente tranquilli. È vero che Motive ha una certa esperienza con questo motore, visto che i suoi due precedenti lavori sono stati basati proprio sulla tecnologia made in Sweden, ma è altrettanto vero che l’adattamento sempre quello è, un adattamento, e c’è sempre qualcosa che potrebbe andare storto in una situazione simile.

Infine, uscendo dalle considerazioni specifiche sul dietro le quinte, eccone una più banale: per il momento si è accennato soltanto brevemente a cambiamenti apportati rispetto all’originale Dead Space, ma questi in cosa consisteranno? Dai rumor, abbiamo saputo che Resident Evil 2 dovrebbe essere il faro del progetto e, dovesse esserci una riuscita dello stesso tenore, ovviamente firmeremmo col sangue dei Necromorfi.

Tuttavia, quello che ci lascia un pochino perplessi è dove questi cambiamenti porteranno la serie, e “l’ignoto”: che piani ci saranno per il dopo, remake dei seguiti? O tali rivisitazioni della sceneggiatura saranno così audaci da prendere il primo capitolo e farlo terminare in una maniera completamente diversa, ad esempio, per far sì che futuri Dead Space 2, 3, ecc. siano differenti da quelli che ci siamo già goduti (fino al 2, almeno)?

Siamo contenti del ritorno di fiamma per la proprietà intellettuale, e che si tratti pur sempre del primo Dead Space ci fa stare tranquilli circa il fatto che (salvo disastri) bene o male ci piacerà; allo stesso modo, si sta scommettendo su un cavallo sicuro, tra costi dell’operazione e pubblico già acquisito, il che dovrebbe garantire una continuità del marchio dalla quale Visceral Games, sempre sotto esame, non ha mai potuto trarre giovamento.

Ad ogni modo, per quanto sarebbe stato più difficile da vendere (specialmente agli aficionados di Visceral e del franchise originale), sarebbe stato ovviamente preferibile un reboot o un soft reboot in stile God of War, se non addirittura qualcosa di nuovo per il franchise – con un protagonista e un’ambientazione differente, magari – in modo da garantirgli più sbocchi futuri.

Vale la pena

Tutte queste considerazioni, legittime, non tolgono la positività della notizia: Dead Space sta tornando e, sia per il suo valore artistico e ludico, sia per com’era terminata la sua epopea, non possiamo che esserne contenti. Parimenti, è importante recuperare alla causa del single-player story-driven una realtà come EA che ha ampiamente trascurato questa dimensione del gaming nell’ultima generazione.

La ferita di Dead Space 3 sanguina ancora, del resto. I primi due capitoli hanno sempre concluso bene o male “0 a 0” la loro corsa, da un punto di vista finanziario, senza creare voragini nei conti dell’editore né arricchendolo, ed è per questa ragione che con il terzo episodio si tentò una strada molto audace per i canoni della proprietà intellettuale nel tentativo di farle compiere un salto (di certo, non di qualità).

Il gioco fu usato come una sorta di laboratorio a cielo aperto, dunque, con dinamiche action spinte che prevedevano per la prima volta sparatorie contro esseri umani e un multiplayer cooperativo che, al tempo, veniva visto come l’unico modo per spingere la creatura mitologica dell’Online Pass: uno strumento nato e morto nel giro di pochi mesi che sarebbe dovuto servire per limitare la “piaga” dell’usato.

Come potete vedere, l’antitesi completa di quanto provato nel primo capitolo (e nel forse sottovalutato secondo, in cui Visceral aveva dato dimostrazione di maturazione artistica e solidità nell’affrontare un progetto non più “casuale”), e nel complesso delle aspettative di una platea avvezza ai survival horror, le cui incongruenze vennero taciute in nome dei trend del momento.

Il flop costò caro alla serie, che venne cestinata da allora, e agli sviluppatori, che furono degradati a mero supporto per DLC e saghe non più a loro firma. Per cui, nonostante non ci sia più stampato sopra quel marchio, il remake di Dead Space ha una vendetta da compiere, o forse più pacificamente una storia da riscattare dopo l’ingiustizia patita nel lontano 2013.

È pur vero che il mercato videoludico è molto cambiato da allora e che adesso, grazie alla varietà delle proposte che giungono da ogni ramo (dai doppia-A agli indie, giusto per citare due categorie che ai tempi non esistevano neppure o quasi), il palato del pubblico è diventato assai più raffinato e in grado di accettare prodotti che non siano ascrivibili esclusivamente ai generi degli sparatutto e degli sportivi.

Se all’epoca si parlava di morte degli horror, perché semplicemente spaventavano i giocatori e non vendevano (o almeno così dicevano le dirigenze), adesso stiamo assistendo ad una rinascita del filone, dovuta all’apertura di un mercato che accoglie ogni genere e riconosce ogni nicchia con un numero di copie vendute soddisfacente.

È la stessa rinascita dei JRPG – con i caveat sulla qualità e sulla riconoscibilità del caso -, e di tutte le altre nicchie che sembravano destinate a sparire ma che adesso, grazie al maggior numero di piattaforme e di servizi ma anche all’aumento a dismisura della popolazione videoludica, possono dire con una certa serenità la loro nel discorso gaming.

In tal senso, sono molto interessanti le dichiarazioni di Sam Barlow (Her Story, Telling Lies), che si è fatto un nome per aver lavorato ad alcuni dei pochissimi capitoli moderni di Silent Hill minimamente apprezzabili. Barlow è tra quelli che si erano fatti avanti con Konami per sottoporre un pitch per il recupero dell’horror psicologico ma che, vistosi rifiutato, lo ha usato come trampolino di lancio per una nuova IP – stessa storia, del resto, di Supermassive Games con The Dark Pictures Anthology.

Dopo aver escluso curiosamente l’idea di fare un remake di Silent Hill (ciascun capitolo è «così collegato specificamente alla sua tecnologia, ad un look, ad un’era del gaming, che non sono sicuro che abbiano bisogno di remake»), Barlow ha spiegato che l’industria «era arrivata ad un punto in cui il ritorno sul lato commerciale (per il genere degli horror psicologici) non poteva giustificare il costo sul lato tecnologico (umani fotorealistici che avevano emozioni sottili in un mondo realistico)».

«Penso che tra PS3 e PS4 sia stata una generazione strana per i giochi basati sulla storia – dovevi essere un blockbuster, o non aveva alcun senso. Silent Hill è stato colpito durissimamente da questo.

C’è stato un cambiamento ora, però. La tecnologia è più accessibile, il mercato è più diversificato. Sembra un buon momento per provare qualcosa in questo spazio».

Una conclusione alla quale, evidentemente, non è giunto soltanto l’autore di Shattered Memories ma anche un big del settore come Electronic Arts - negli ultimi anni restio alle esperienze single-player fatte e finite ma convinto dai fatti, come quelli portati dalle vendite di Star Wars Jedi Fallen Order, a provare qualche scorribanda in più nel settore.

Un ultimo motivo che alletta del remake di Dead Space è la possibilità di ottenere un gioco che sappia davvero di “next-gen”. Al netto dei dubbi sull’adattabilità del motore grafico alle diverse tipologie di titolo, è fuor di dubbio l’impatto visivo di cui è capace il Frostbite, sia a livello di colori che in termini di effettistica, e l’idea di vederlo sprigionare tutta la sua potenza in un’ambientazione chiusa come la USG Ishimura, con relativamente pochi elementi da elaborare ad ogni caricamento, non può che solleticare il palato di chi si è portato a casa una PS5 o una Xbox Series X.

Di contro, il fatto che il gioco sia stato annunciato solo per le console di nuova generazione, oltre che per PC, dà da pensare circa lo stato dei lavori: l’uscita dovrebbe avvenire oltre le tempistiche in cui PS4 e Xbox One saranno supportate, a giudicare dalle dichiarazioni di Sony e Microsoft fino al 2022, per cui se dovessimo trattenere il fiato cominceremmo a farlo almeno dal 2023 in poi. Considerando la lunghissima attesa per Dragon Age 4, immaginiamo siate già preparati mentalmente a portare pazienza…

In conclusione

La strada davanti a Dead Space è ancora molto lunga ma, aspettando la prova del gameplay che non sbaglia mai, i motivi per cui essere felici del suo ritorno sono tanti – perlomeno, se la giocano con i dubbi che circondano legittimamente il progetto di Motive Studios. Ci ha messo tanto a convincere Electronic Arts a darle una chance, ma la serie di Visceral Games alla fine ce l’ha fatta e ha l’opportunità di giocarsi tutte le sue carte con il revival del suo capitolo più iconico.

Non sappiamo dove porterà questa iniziativa in futuro, né se la qualità del suo output sarà sufficiente a reggere il peso dell’eredità; tuttavia, già il solo rivedere quel marchio ci fa ben sperare, che fare qualcosa di diverso sia possibile e che questa bistrattata proprietà intellettuale possa riscattare la sua storia lasciata penzolante come l’arto spezzato di un necromorfo.

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