Le esclusive Xbox sono le uniche che non escludono più nessuno

La notizia più importante dell'E3 2021 è lo switch culturale promosso da Microsoft

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a cura di Paolo Sirio

Abbiamo visto in molti concentrarsi sull’evento in sé, sulla mole di giochi che stanno per arrivare sulle piattaforme Xbox, ma il messaggio più importante che arriva dall’E3 2021 è un altro: le esclusive Xbox sono le uniche che non escludono più nessuno, in un solo colpo rompendo la narrazione secondo cui Microsoft non ha giochi e mantenendo la propria impostazione etica di un gaming senza barriere.

Questa evoluzione nella comunicazione di Microsoft, possibile adesso che il cloud gaming (a proposito, ci piacerebbe capire come chiamare la proposta di gioco in streaming della casa di Redmond, un giorno) ha assestato la prima tranche di piattaforme che vorrà servire stabilmente, è il punto più importante dello spettacolo cui abbiamo potuto assistere il 13 giugno.

Lo è perché rappresenta di fatto l’approdo ad una mentalità non più soltanto oltre le generazioni, ma finalmente oltre le piattaforme: con Xbox Game Pass è in atto uno switch culturale simile a quello dell’inondazione dei multipiattaforma ma che, diversamente da questi, non impoverisce la libreria di Xbox perché – almeno per ora – continua a ruotare attorno a quel marchio.

È forse un processo sottile, ma l’E3 2021 serviva proprio a fornire degli esempi perché diventasse chiaro a tutti.

Il (gioco di) ruolo di Bethesda

Parlando di esempi: Starfield è un RPG next-gen che potete giocare solo come clienti Microsoft ma che non richiede le console di Microsoft: se siete utenti PlayStation o Nintendo, acquistate un mese di Xbox Game Pass e ve lo godete con uno smartphone Android che già avete a casa senza spendere 500+ euro per una (qualunque) piattaforma hardware.

Con il fatto che Starfield sia diventato un’esclusiva Xbox, per la prima volta da quando il marketing videoludico ha coniato il termine “esclusiva”, non viene in realtà escluso nessuno, anzi: si aggiungono altri milioni, se non miliardi, di potenziali giocatori che potranno ritrovarsi un tripla o quadrupla-A direttamente sul loro cellulare o tablet o laptop o PC scrauso senza dover disporre di altro all’infuori di un controller Bluetooth.

A te oggi non serve niente in più rispetto a quello che già hai per giocare il prossimo titolo dei creatori di Skyrim, e questo è fantastico. Quando si parla di gaming senza barriere, “esclusiva Xbox” o in generale il termine esclusiva quando si parla di Microsoft non significa assolutamente niente, perché a te per fruirne – a prescindere da quale sia la tua (stupida, diciamolo pure) bandiera – non serve altro che un umilissimo smartphone Android, senza tirare in ballo il più costoso iOS.

Il gioco di ruolo Bethesda è la prima grande esclusiva che include: la cosa davvero importante di quel titolo non è tanto il fascino delle sue premesse narrative e ludiche, non è l’approdo di Todd Howard e i suoi su una nuova generazione di modo di fare videogiochi (con il nuovo engine e non solo), quanto il fatto che un prodotto di una simile portata – come tutto quello che abbiamo visto la scorsa domenica – non sia chiuso dietro il recinto dorato di una console da 500 euro; il fatto che questo non sia stato pensato per guidare le vendite di una costosissima console, perché a casa avete già tutto quello che vi serve.

Halo Infinite tende la mano ancora di più al giocatore: su console e PC il multiplayer sarà completamente gratis, non richiederà neppure un abbonamento, nonostante – e lo abbiamo apprezzato per bene – in quella componente multigiocatore siano riversati valori produttivi importanti.

Al di là della progettualità tribolata, dalla campagna fino a muoversi nel multiplayer, la nuova epopea di Master Chief è il simbolo di una compagnia che si sta evolvendo strutturalmente unita come in un blocco di granito, mettendo il cloud al centro e includendo il gaming sotto il suo ombrello – che è qualcosa che avevamo intuito nella recensione di Xbox Series X, discutendo di una visione che adesso infonde ogni singolo passo, sull’hardware o sui servizi, del platform owner, ma che continua a far strano visto che uno dei primi incarichi degli azionisti per il “nuovo” CEO Satya Nadella era proprio liberarsi di Xbox.

Tante volte si parla della capacità di Xbox Game Pass di generare profitti e la cosa che ci fa stare bene come appassionati è che a Redmond stiano costruendo una struttura che possa essere vincente nel tempo, espandendo il raggio d’azione non solo proprio ma di tutto il mondo videoludico, e che le crei uno spazio unico nel gaming, che non vada in contrasto con quello degli altri player come Sony e Nintendo.

L’aspetto che fa piacere è che il successo di un’azienda non andrà, in un quadro perfetto, a scapito di un’altra: ciò dovrebbe avere un effetto positivo sia sulla qualità del prodotto, perché ciascun attore vorrà continuare a primeggiare sul piano della qualità per rendere l’idea che la sua visione del videogioco (non il singolo videogioco) sia la migliore rispetto alle altre, sia sull’aria che si respira intorno all’hobby, con la passione dei consumatori che dovrebbe gradualmente diventare meno “violenta” e alternativa nelle discussioni social.

L’acquisizione di ZeniMax e Bethesda ha rappresentato in tal senso la fine della console war, come osservammo al tempo, perché ha costituito lo step finale nella dimostrazione che grandi prodotti premium possono arrivare su un servizio in abbonamento che prescinde dalle piattaforme. Non fosse stato per Starfield, probabilmente si starebbe ancora mettendo in dubbio la bontà (dalla fase di progettazione a salire) dei titoli in arrivi da Xbox Game Studios, e Microsoft lo sapeva benissimo.

Il metodo Windows

Per ora, del resto, sentiamo parlare di “esclusiva Xbox” giusto per rompere la narrazione che Xbox non abbia giochi; vedrete però che col tempo queste narrazioni spariranno – sia che Xbox non ha giochi, sia che esista un’esclusiva Xbox – perché già adesso hanno poco senso, pensate se (quando) la proposta di Game Pass verrà portata su altri lidi come quello, pare imminente, di Nintendo.

Un commento illuminante che abbiamo letto in giro è stato quello di un gamer a proposito di Age of Empires IV: fino al 13 giugno era affranto perché, da grande fan della serie strategica, pensava non si sarebbe potuto godere il nuovo capitolo a causa delle specifiche del suo PC. Domenica ha scoperto che il prossimo RTS di Relic e World’s Edge sarà pure su cloud, e che così non avrà alcuna limitazione nello spolparselo.

Questo è il primo grande passo verso un mondo in cui non parleremo più di piattaforme ma di giochi, dove escono, escono. È un mondo che passa attraverso Xbox Game Pass come “canale” e in questa fase devi sottolineare, siamo agli inizi di un processo, che un titolo arriverà su console, PC e cloud; ma il momento in cui la comunicazione di Microsoft sarà “esce su Game Pass” (presto o tardi ci aspettiamo l’addio anche a Xbox nella denominazione, e quella sarà la consacrazione finale), arrivederci e grazie, è molto vicino.

Sarà allora che tra i giocatori (quelli che lo sono e quelli che, grazie a tale processo, lo diventeranno) si comincerà a dire “hai giocato Starfield?” non come esclusiva o che, ma perché lo puoi veramente giocare con una barriera all’ingresso infima – non più un hardware costosissimo, difficile da trovare, e chi più ne ha più ne metta.

Per Microsoft, è un modo di applicare la filosofia di Windows al gaming: in gergo tecnico si parla di PC Windows ma per il gaming pubblico PC è Windows, e l’obiettivo finale è fare la stessa cosa con la loro piattaforma e i videogiochi.

Il ruolo del cloud

Potrà sembrare strano ma in questo processo è stata molto utile Stadia, che ha immortalato l’idea di quello che si possa fare a livello di cloud gaming. Al di là dei problemi legati ai contenuti e alla proposta in termini di business model, la piattaforma di streaming di Google funziona in maniera divina ed è parsa una serissima potenziale concorrente al modello attuale delle console.

Da questo punto di vista, xCloud non è perfetto, anzi, ma è atteso dall’upgrade delle blade con Xbox Series X – un impegno rinnovato di recente da Microsoft. Questo dovrebbe lanciare finalmente tra le stelle Xbox Game Pass e i suoi titoli su tutti i dispositivi che la casa di Redmond ha messo nel mirino, con un livello di qualità assimilabile a quello di Stadia e non più limitato da prestazioni più o meno buone a seconda del gioco selezionato.

Il fatto che questo percorso non sia ancora giunto alla sua conclusione è pure uno dei motivi per cui per certe uscite non ci sia una grande fretta: è vero che i vari Avowed, State of Decay 3, Perfect Dark e via discorrendo hanno ancora bisogno di tempo di loro, ma lo è pure che – un po’ come sta ragionando Sony su PS Now – non avrebbe molto senso spingere sull’idea di un Fable giocabile sullo smartphone quando poi in realtà si tratta di un’esperienza singhiozzante.

Allo stesso modo, è vero che in questa fase a casa siamo messi bene – su Stadia ci siamo resi conto che per il cloud gaming non serve davvero una super connessione (ricordiamo di un Destiny 2 giocato con la banda limitata a 4 mbps) – ma all’aperto le problematiche sono ancora tutte da affrontare e non soltanto come controllo della latenza.

Il discorso 5G sta cominciando ad entrare nel vivo, ma i piani di abbonamento dovrebbero essere flat per garantire una fruizione in piena tranquillità di prodotti “pesanti” e pensati per il gaming casalingo anche all’esterno, e non ci sembra sia stata avviata una conversazione convinta su questo aspetto.

PlayStation che fa?

Prima molto restia, Sony non si è preclusa la possibilità di un PlayStation Game Pass, sta probabilmente riflettendo sulle opportunità e sui contro che un sistema del genere presenterebbe sulla propria piattaforma e soprattutto in relazione alla sua comunicazione incentrata sui grandi videogiochi premium fruibili soltanto con un elevato costo del biglietto.

Il timore è che un servizio in abbonamento potrebbe portare via il focus mediatico dalle sue esclusive first-party, che hanno impostato un dialogo coi propri giocatori basati sulla fiducia riposta in dinamiche come lo story-driven e l’action adventure con un mondo che non risulti soverchiante; questo dialogo è così avanti che è andato persino oltre il videogioco, con serie TV e film ormai in rampa di lancio basati sulle IP più acclamate in catalogo.

Un abbonamento forte come Xbox Game Pass potrebbe “annacquare” questo tipo di messaggio, dal momento che, è uno dei temi sul tavolo a Tokyo, renderebbe un God of War Ragnarok o un Horizon Forbidden West soltanto una parte infinitesimale di una libreria, mentre storicamente PlayStation e i suoi prodotti cercano un piedistallo dal quale bearsi della loro qualità inarrivabile.

L’impressione è che si stia cercando un modo per andare oltre la preclusione totale vista su PlayStation Now e per continuare ad affermare un concetto di priorità di una certa tipologia di clientela. Abbiamo visto i giochi PlayStation arrivare su PC, ad esempio, ma lo hanno fatto 1) solo dopo che a PS4 era sopraggiunta PS5, 2) solo quando PS5 aveva ricevuto gli upgrade next-gen per quegli stessi giochi, per affermare che nelle sue gerarchie ci sarà sempre una differenza tra giocatore console e giocatore PC, e che questa differenza sarà “a tutela” del cliente storico.

Lo stesso ragionamento è presumibilmente in corso per quanto riguarda gli abbonamenti: immaginiamo si voglia garantire una precedenza al consumatore che spende 80 euro (anche per difendere la profittabilità dei blockbuster dei PlayStation Studios) rispetto a quello che con 10 euro o poco più si gode un mese di all you can eat e saluta.

Da questo punto di vista, Microsoft ha fatto al contrario dell’ampiezza e della varietà della sua libreria una vera e propria mission, spiegando – quando c’era da ricostruire una struttura first-party – che avrebbe guardato con ammirazione i lavori PlayStation, che avrebbe proposta anch’essa un numero ragionevole di produzioni nello stesso tono, ma che poi avrebbe percorso la sua strada diversificando le decine di esperienze godibili su Xbox Game Pass.

L’E3 2021 in un certo senso ha cominciato a sciogliere le riserve che avevamo posto sull’abbonamento: si inizia a fare un passo in avanti perché adesso si prospettano all’orizzonte titoli del calibro di Starfield – assimilabile ad uno Skyrim nelle stelle – e a non lasciare che siano solo ed esclusivamente giochi piccoli e rapidi a farla da padrona. In più, un altro piccolo passo che sta venendo fatto in maniera determinante riguarda gli innesti: non si parla ormai di giochi che arrivano in libreria ma di giochi che ci arrivano sempre fin dal day one, tutt’altro che una semplice sfumatura di significato.

Una strategia che sta pagando

La strategia di ampliamento di Xbox Game Studios e nel complesso della struttura gaming di Microsoft sta pagando, perché non è stata condotta come acquisti per il puro gusto di acquistare. Sono stati acquisiti studi che hanno più team, come Obsidian (ne ha tre, uno su Grounded, uno su The Outer Worlds, uno su Avowed), Double Fine, Ninja Theory e inXile, tra gli altri.

Prima di passare a Zenimax, sono state quelle le acquisizioni che nel 2018-2019 hanno affermato per Phil Spencer e soci: «ho bisogno di studi che mi mandino avanti Xbox Game Pass». Quelli di questi studi sono giochi pensati per arrivare su quella piattaforma e per il momento, non come temevano il sottoscritto e Josef Fares, non per una questione di design quanto per un fattore di calendarizzazione.

Zenimax è un’altra acquisizione che ha molto senso: al di là del topic di “validare” la proposta di Xbox Game Pass con acclamati prodotti premium, su cui abbiamo riflettuto poco fa, la label ha diversi titoli online che metti in catalogo e ti dureranno per sempre (al più cambi copertina dopo un aggiornamento), tra cui Fallout 76 che finita la fase dei meme è diventato uno dei più giocati sul servizio e The Elder Scrolls Online. Allo stesso modo, e l’abbiamo apprezzato all’E3 2021, Arkane Studios ha due team diversi capaci di lavorare in parallelo e con scadenze l’una vicina all’altra.

Non pensiamo che l’Xbox & Bethesda Games Showcase sia stato particolarmente sconvolgente, ma rende bene l’idea di dove siamo arrivati il fatto che sia stato allestito un evento di questo livello, coprendo pressoché tutti i mesi con almeno un’uscita da luglio a dicembre, senza tirare minimamente in ballo – neppure un teaser – i big che sono stati annunciati finora e costituiscono la prospettiva della libreria.

L’aspetto più positivo è che, al contrario dello showcase di luglio 2020 che doveva aprire una generazione (e l’ha fatto bene, se escludiamo l’incidente di Halo Infinite), l’E3 di Microsoft e Bethesda ha avviato uno switch culturale tenendo i piedi ben saldi al terreno: Redfall, tanto osteggiato perché co-op, uscirà nel giro di un anno, lo stesso dicasi di un Forza Horizon 5 in uscita già a novembre, e questo vuol dire (giusto per citare due nomi di un certo blasone) che Arkane Austin e Playground Games stanno probabilmente già progettando i loro prossimi big.

In conclusione

Anni di polvere, brividi e infine scommesse sembrano stare pagando per Microsoft, una compagnia trasformata dalla lunga evoluzione in chiave cloud e servizi, e capace finalmente di portare una visione coesa e credibile sulla distanza nel mondo del gaming.

Messo alle spalle un lancio stealth, Xbox Series X (e l’economica S, che avrà ancora molto da dire) ha un anno intrigante davanti a sé e una prospettiva da top nel settore, pur essendo consapevole di costituire soltanto una frazione di un ecosistema che vuole abbracciare e non dividere.

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