La mia mania di raccogliere spazzatura mi si sta ritorcendo contro in Cyberpunk 2077

Una deformazione da RPG occidentale che potrà non pesare in un Fallout, ma qui ha implicazioni da non sottovalutare

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a cura di Paolo Sirio

Lo saprete bene se ci state seguendo in questi giorni, Cyberpunk 2077 ha avuto un'accoglienza particolarmente complessa e del tutto diversa da quella che ci si sarebbe potuto aspettare. Avevamo calendarizzato approfondimenti di ogni genere, principalmente focalizzati sull'arte della narrazione così come sull'estetica del gioco e sulle sue qualità, ma la verità è che tra uno scandalo e l'altro io ci sto ancora giocando e sono arrivato alla prima decina di ore.

Questo perché, legittimamente, la pancia del pubblico ci ha chiesto analisi di natura tecnica sullo shooter RPG e ve ne abbiamo proposte a iosa, dopo quella della recensione basata sul codice PC fattoci pervenire prima del day one e firmata dal nostro Domenico, tra Stefania (PS4 e PS5) e il sottoscritto (Xbox One X, Xbox Series X e S).

Adesso che il discorso si è spostato su dinamiche che – come vi abbiamo spiegato in un approfondimento sul tema – hanno a che fare più col legale che col videoludico, lasciamo per almeno un fine settimana da parte le polemiche sullo stato tecnico del titolo e concentriamoci su quello che Cyberpunk 2077 ha da offrire in quanto gioco; un aspetto di cui si sente parlare pochissimo, in mezzo agli schiamazzi delle lamentele più o meno legittime, e che è stato brutalmente calpestato dalla pressappochezza di chi ha deciso di lanciarlo a prescindere dai segnali che sono piovuti ripetutamente dal team di sviluppo.

Nota a margine: vi sorprenderà sapere che, dopo averlo iniziato su Xbox, ho deciso che la mia piattaforma di riferimento per la prima run sarà Stadia, non-console di Google della cui versione discuteremo a brevissimo con uno speciale dall'impianto puramente tecnico (e dalla quale sono tratti tutti gli screen di questo articolo). Lo sto facendo sia per curare l'analisi di questa edizione, sia perché la meraviglia di poterci giocare su un laptop da ufficio relativamente misero e su uno smartphone come se fossi su un PC di fascia alta è forse essa stessa l'essenza del cyberpunk.

Sto raccogliendo un sacco di immondizia nel gioco

Il timer conta le dieci ore di gioco quando mi rendo conto di un problema abbastanza palese che non riesco a superare in Cyberpunk 2077: gran parte di quel tempo l'ho trascorso a raccogliere spazzatura. Non importa se il gioco la definisca davvero così, se sia materiale rilevante o meno lo vedremo tra poco, ma quello che mi appare evidente è come mi stia riempiendo le tasche, e forse persino qualcos'altro, di roba che non mi servirà davvero nel prosieguo della storia né delle sue diramazioni secondarie. E per farlo sto rischiando di rovinarmi un gioco in cui la mano dell'autore ha bisogno di scorrere veloce, ché, per la qualità che esprime quando lo fa, è un problema bello grosso.

Dopo una sparatoria, mi fermo decine di minuti a controllare di aver preso tutto dai corpi dei nemici e lo faccio in genere fino a quando il mio personaggio non riesce più a muoversi perché ha superato il limite delle unità di peso trasportabili (che, in questo momento, per il mio V basato sulla forza è fissato a 200). Questo innesca un ulteriore passaggio, che è quello dello studio di cosa scartare e cosa no, che interrompe per una seconda volta il flusso del gioco così com'è stato scritto.

Dopo una fase stealth, faccio lo stesso, spesso col rischio di farmi scoprire da altri personaggio che giustamente sono ancora vivi mentre ne faccio fuori uno alla volta per avvicinarmi al punto d'interesse per la missione; talvolta, non mi accontento nemmeno di arrivare al punto d'interesse, mi faccio comunque il giro di tutta la location per accumulare cose in un circolo vizioso che neanche il Gollum dei tempi migliori, e con questo atteggiamento metto a rischio il completamento stesso della mia missione e, soprattutto, della missione nel modo in cui avevo deciso – gioco nel gioco – di risolverla (senza farmi scoprire, evidentemente).

Prima di accedere ad un dialogo, entrando in una stanza dove mi aspetta un personaggio, raccolgo prima qualunque cosa con cui si possa interagire in quell'ambientazione e soltanto poi ci parlo. In alcuni casi, raggiungiamo livelli di cleptomania tali che percepisco l'imbarazzo, un po' come in quei meme di Skyrim, di entrare in casa di gente sconosciuta e fregargli praticamente da sotto gli occhi (complice un'IA non proprio reattiva, ma questo è un altro discorso) i risparmi di una vita.

Che questo sia un approccio nella grammatica del gioco “sbagliato”, contrario al principio di una produzione dalla profondità narrativa dello story-driven lineare imbevuta in un contesto open world decine di volte più grande di lei, è rimarcato in un certo senso dall'impazienza degli NPC quando ci intrattieni delle conversazioni: basta che aspetti un secondo in più, che titubi su una risposta da darti, che il personaggio non giocante – come se fosse interpretato da uno sceneggiatore che ti invita a concentrarti, attraverso la voce di quel personaggio, sui fatti dirimenti – ti spinge bruscamente a non distrarti, e se non lo fa lui ci pensa un ansiogeno cronometro posizionato su taluni scambi per determinarne la direzione.

Perché è un problema

Da appassionato di RPG occidentali, sono piuttosto abituato a misurarmi con questa problematica e, tutto sommato, a gestirla in una maniera tale da non minare la qualità della mia esperienza narrativa in questi giochi – da non fare un attacca-e-stacca, in sintesi, dal racconto. Sto tornando ora da Fallout 76, per intenderci, esponente peculiare di una serie che fa della raccolta ecologica un caposaldo del suo gameplay loop fin dalle origini isometriche.

Tuttavia, diversamente dalla tradizione ruolistica cui pure si rifà nonostante la sua palpabile inclinazione da shooter, Cyberpunk 2077 ha un fortissimo tratto story-driven, e del resto più rimango nel giro della storia senza farmi portare via da altre distrazioni, più me lo godo. Vi dirò di più: probabilmente, per le tinte noir e metropolitane che mi piacciono a livelli stratosferici (non sto qui a tirare fuori le short novel della mia giovinezza sennò facciamo notte, come al solito), sarebbe stato persino meglio se fosse stato “semplicemente” lineare e non open world – ma non ho ancora addentato quella parte di questa produzione gigantesca, mentre scrivo, per cui mi riservo di approfondire tale dinamica prima di sbilanciarmi, e so/mi aspetto che CD Projekt RED abbia dato il meglio nelle missioni secondarie se ha fatto un lavoro quantomeno assimilabile a quello seminale di The Witcher 3: Wild Hunt.

Fermarsi ogni cinque minuti d'orologio per raccogliere loot spezza il ritmo di una narrazione che – per le tematiche mozzafiato (letteralmente, è roba che soffoca per quanto preme pesante sul concetto stesso di identità e umanità) che tratta – dovrebbe essere incalzante ed è invece chiamata ad aspettare me che completo il saccheggio.

Intendiamoci: CDPR è brava nel definire i limiti ogni volta di ciò che è missione della storia e attività del mondo aperto, forse prendendosi perfino qualche precauzione in più rispetto a The Witcher per evitare che le due cose – l'una dal tono molto scuro, l'altra dalla scrittura più leggera (se avete incontrato un tizio dal pene in fiamme, sapete di cosa stiamo parlando) – si accavallino e le prime finiscano sminuite rispetto a quanto non avrebbero presentato in un autentico story-driven.

Non è in questo che il ritmo “perde la sfida” con un The Last of Us Part II: entrambi chiudono lo scatolone in cui sono calati i loro momenti più fortemente narrativi all'infuori da questi stessi momenti, solo che Naughty Dog, non ricorrendo ad una struttura da puro RPG (oltre al discorso del loot, pensate alle missioni extra storia, che non sono davvero missioni ma più raccolti e rapidi “obiettivi” secondari), è più padrona di quello che farai al loro interno; all'autore preme molto che vivi certe sensazioni e per assicurarsi che tu lo faccia ricorre a qualunque tipo di stratagemma, da un corridoio ad un QTE passando per ambientazioni vuote o popolate del minimo sindacale, un collezionabile, delle munizioni, e basta.

Su Cyberpunk 2077, invece, mi ritrovo a gestire tonnellate di loot, e questo – se non maneggiato a dovere – costituisce un ostacolo a che il gioco spicchi il volo sotto il profilo narrativo: sì, sto subendo tutte le ripercussioni di mesi di report sull'ambiente lavorativo tossico nello studio polacco, sì, i giorni passati a pensare a bug e rimborsi mi hanno spezzato l'incantesimo del day one, ma non è solo per questo e di certo non è una coincidenza se per me non sia ancora scoccata la scintilla con il racconto (sto per dirigermi per la prima volta a Pacifica, per darvi un'idea del punto a cui sono arrivato, e sto solo adesso iniziando a vedere la luce).

Ma ne vale la pena?

A furia di scavare è ovvio, per un puro calcolo matematico, che qualcosa di buono presto o tardi venga fuori: capita che ci si imbatti in qualche pezzo d'equipaggiamento, che sia un'arma o un capo d'abbigliamento, che abbia un grado di rarità più elevato o delle qualità superiori, e in questo – rifacendosi a categorie cognitive ben note, come le colorazioni - Cyberpunk 2077 fa un buon lavoro nel rendere subito l'idea di cosa costituisca un upgrade e cosa no.

Tuttavia, gran parte della roba che peschi è al di sotto del livello di DPS, quando si parla ad esempio di armi, rispetto a quello di cui già disponi con quei ferri che hai equipaggiato nel tuo inventario. Questo vuol dire che ti ritrovi a venderli, se sei abbastanza fortunato da avere una di quelle macchine in cui poter compiere questa operazione a portata di mano (e fin qui ci potremmo stare: fai soldi che puoi spendere per altro che ti piace, a patto sempre di essere nei pressi di una di quelle macchine durante una missione e prima di raggiungere il cap del peso che inevitabilmente ti rende un bradipo), oppure a smontare i pezzi in eccesso per ottenere materiali utili al crafting. Non l'ho ancora approcciato a dieci ore dall'inizio, il che la dice lunga in effetti sull'utilità di questo processo, ma di norma smontare mi è servito finora semplicemente a non sentirmi in colpa per aver buttato via della roba che ho raccolto “con tanta fatica”.

E quando non si tratta di armi, sono log di fronte ai quali mi ritrovo a pensare “ok, questo è molto interessante” guardandone il titolo dall'anteprima nell'interfaccia a lato, salvo poi ragionarci su e arrivare alla conclusione che forse è meglio leggerlo dopo, a missione o peggio ancora (cosa che mi sta succedendo ora) a gioco finito.

Quest'impresa mi è riuscita di recente soltanto con Death Stranding, dove il finale mi aveva lasciato con una tale sete di conoscenza che volevo, anzi dovevo, saperne di più e ho provato a farlo spulciando ogni tipo di documento avessi a disposizione. Quindi, no, nell'immediato tutto questo non mi sta servendo assolutamente a niente, ma confido che ci sia una luce in fondo al tunnel – e che non sia un treno, per citare una bella canzone dei Metallica.

In conclusione

Giunti a questo punto, la domanda è legittima: ho intenzione di cambiare, dopo tutte queste riflessioni, il modo in cui gioco Cyberpunk 2077? La risposta semplice è no: questo problema è una deformazione della maniera in cui sono abituato a giocare i giochi di ruolo occidentali e, sebbene si presenti come figlio di una serie patinata di commistioni, la mia psiche da gamer lo ha incanalato in quel filone e camibare approccio, magari giusto per un weekend e di punto in bianco, mi riuscirebbe innaturale.

Volete sapere un'altra deformazione, in realtà molto comune tra i giocatori di ruolo? Prendo le decisioni nel gioco, tutte, basandomi sulle caratteristiche fisiche e psicologiche del personaggio che ho creato, persino nei casi in cui quelle scelte non mi entusiasmano o vanno contro le cose in cui credo – una mia eventuale Ellie, per rimanere in tema con un esempio che ho citato prima, si sarebbe comportata nello stesso identico modo salvo forse un unico grande caso in cui l'esclusiva PS4 ha voluto sorprenderci amaramente.

Per fortuna, però, Cyberpunk 2077 è uno dei pochi titoli che per la sua stessa struttura – i diversi background da cui cominciare, in particolare – mi spingerà a giocare più run abbastanza vicine le une alle altre, e sarà in un playthrough successivo che avrò la chance di guardare a tutto quello che ha da offrire, con più consapevolezza sul discorso della compravendita degli oggetti e meno di quella fretta nell'esplorazione delle opportunità del mondo che di norma ho quando voglia scoprire come va a finire. Senza dimenticare che, soprattutto, spero tanto nell'effetto Death Stranding: quel finale che mi lasci davvero con la voglia addosso di saperne di più una volta visti i titoli di coda.

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