Apple guadagna tantissimo dai videogiochi senza occuparsi davvero di videogiochi

Mentre si impone sul mercato degli smart device tra iPhone e iPad, Apple è uno dei pochi giganti della tecnologia che non ha davvero strizzato l'occhio all'idea di una definita piattaforma gaming, al di là del catalogo Apple Arcade. Perché?

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a cura di Stefania Sperandio

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957.390. È questo il ragguardevole numero di giochi che sono presenti su App Store, il catalogo digitale presente sui sistemi iOS di proprietà di Apple, al quale gli utenti di iPhone e iPad accedono quotidianamente per scaricare nuove applicazioni e, appunto, esperienze di gioco che vanno dalle più elaborate alle più immediate e accessibili.

Secondo i dati si tratta di un numero imponente, se consideriamo che tutte le altre tipologie di applicazioni (svago, fotoritocco, organizer, video conferenza, streaming video, social network, home banking, browser, ma continuate voi la lista a piacimento) sono in totale 3,4 milioni su App Store.

Suona ancora più curioso, allora, che con una fetta così grande della sua vetrina dedicata specificamente ai videogiochi, Apple sia uno dei pochi giganti della comunicazione e della tecnologia ad aver fatto passo microscopici — a voler usare un eufemismo — per capitalizzare il più possibile, con piattaforme o strategie specifiche, il potenziale dei videogiocatori. Questo, in un'epoca in cui il videogame ha avuto un boom e ha ampliato in modo esponenziale i suoi orizzonti, sia nella proposta che nei destinatari.

Microsoft è proprietaria di Windows e di Xbox, sta continuando a investire sull'on demand con Xbox Game Pass e ha appena incluso la sua visione xCloud nel suddetto abbonamento. Google, nonostante il suo Android secondo i dati del 2019 detenga oltre il 72% del mercato mobile europeo, si è spesa nel per ora zoppicante servizio Google Stadia — che avrà bisogno di più tempo, più chiarezza e più giochi, per riuscire a colpire nel segno.

Il titano Facebook Inc., dopo aver fagocitato Oculus, continua a cercare di destreggiarsi tra nuovi visori per la realtà virtuale, una piattaforma gaming sul suo social network e la volontà di diventare un'abituale piattaforma per lo streaming che possa mettere una spina nel fianco di Twitch.

Apple? Apple, nel frattempo, ha lanciato Apple Arcade. E ha fatto parlare di sé perché, nonostante gli interlocutori alla sua porta fossero Microsoft, Facebook ed Epic Games, ha deciso di continuare a fare le cose a modo suo. Think different, diceva uno slogan della Mela qualche tempo fa, e sembrerebbe proprio quello che Apple sta tentando di fare anche con i videogiochi — forse memore dei passi falsi di un passato ancora non così remoto.

C'era una volta una console della Mela: Apple Pippin

Insegna il saggio che puoi avere tutte le buone idee del mondo per la tua bellissima nuova console, ma se non le esprimi in modo chiaro per farti strada tra concorrenti agguerriti — e, meglio ancora, se non hai una valanga di giochi nella tua libreria per convincere i consumatori della bontà della tua offerta — le cose potrebbero farsi difficili. Se ne dubitate, potreste consultare l'enciclopedia di storia dei videogiochi sotto la voce "Wii U". O, per rimanere in tema, sotto la voce Apple Pippin.

Siamo negli anni Novanta, quando la compagnia della Mela celebre per i suoi computer Macintosh (siamo ancora lontani dalla Apple degli iPhone che tutti conosciamo) mette insieme l'ecosistema Pippin e lo definisce l'ideale per l'esperienza di intrattenimento domestico. Questo, a partire dai videogiochi. Apple non aveva in mente di realizzare una console di per sé, ma di mettere a disposizione su licenza l'idea di Pippin.

A interessarsene fu Bandai, che commercializzò quella che è rimasta negli annali della storia videoludica come Apple Bandai Pippin. La console, prodotta in 100.000 esemplari, aveva un costo di listino di $599. Siamo nel 1996 e la generazione con cui deve scontrarsi è la quinta: quella di Nintendo 64, di SEGA Saturn, di Atari Jaguar. Quella di PlayStation e, in sintesi, quella che segna un prima e un dopo, nell'avvento e l'affermarsi del gioco in tre dimensioni.

Il risultato è infausto: Apple Bandai Pippin vende circa 42.000 esemplari, sul mercato europeo i videogiochi nemmeno arrivano, e nel 1997 è già ai saluti: produzione interrotta e fine del ciclo vitale. Un esperimento fallito che non ha premiato né Bandai né Apple, vedendo la loro piattaforma venire bastonata da un mercato dei videogiochi in cui Pippin non riuscì a trovare spazio.

E, da allora, il rumor e le chiacchiere di una Apple pronta a produrre una nuova console, ad affacciarsi come player del mercato videoludico con la forza e le consapevolezze acquisite nell'epoca di App Store, si fanno avanti repentinamente e spesso in modo molto credibile. Certo, se non fosse per una cosa: che Apple probabilmente non ha nessun bisogno di prendersi un rischio simile.

Giocare su Mac, all'incirca

Ma considerando che così come Microsoft ha il suo ecosistema Windows, Apple ha il suo ecosistema Mac OS – ancora meglio se pensiamo che è installato su computer di sua fattura, appositamente progettati e assemblati per far dare il meglio al sistema operativo – perché mai la casa di Cupertino dovrebbe anche solo pensare a una piattaforma apposita per il gaming? Non può semplicemente affidarsi ai suoi computer?

Sì e no. Vi basti, come riassunto, che chi vi scrive ha un iPad che la affianca nel lavoro di tutti i giorni, come consultare le mail on the go, firmare documenti, che eventualmente le fa da terzo schermo per conferenze e simili. Per lavorare, invece, la piattaforma è un iMac del 2019, con una scheda tecnica fatta assemblare di proposito per strizzare l'occhio anche al montaggio video in 4K. Per giocare? Per giocare, invece, c'è un PC. E anche qui si pone un quesito: ti sei fatta mettere su un iMac pensato per il montaggio video in 4K e non ti è venuto in mente di usarlo anche per giocare? Esattamente.

Il motivo è presto detto: per chi è ateo di Mac, i videogiochi che arrivano anche su Mac OS sono in numero estremamente limitato. Lo fanno, spesso, a distanza siderale rispetto alla release su Windows, e non sempre nel modo migliore. Ci sono alcuni sempreverdi del mondo PC, come The SimsCivilization, ma sono molti di più i giochi che mancano e che alla Mela non strizzano l'occhio. La soluzione sarebbe sfruttare una partizione per installare Windows (è possibile nativamente, con BootCamp), ma capite anche voi che acquistare un iMac per avere una piattaforma da lavoro e partizionarlo perché si vuole giocare, installando anche un altro sistema operativo, rende molto più semplice rivolgersi a un PC – e così sfruttare pienamente l'hardware di quel personal computer, oltre alle sue proposte ludiche.

Il punto è che la piattaforma Mac, come tutte quelle di Apple, è sempre stata essenzialmente chiusa. Su Mac girano i giochi per Mac, dagli store che decide Apple. Al punto che la notizia recente di un'apertura è stata accolta con sorpresa. Lo scorso giugno, infatti, la compagnia guidata da Tim Cook si è resa più disponibile a un'inversione di rotta: visto che i giochi Windows non riescono a transitare tanto spesso da Windows a OS, è molto più facile sfruttare la libreria di videogiochi che si ha già su iOS, per offrire una proposta ludica importante anche agli utenti dei computer della Mela. Il punto è solo uno: scalare da giochi normalmente pensati per essere giocati su PC a giochi normalmente pensati per essere giocati su... iPhone.

Si parla tanto dell'avvento di una nuova generazione di MacBook e iMac basati su Apple Silicon, che dicano addio al vecchio idillio con Intel, e questo sarebbe il passo cardine per la transizione verso i giochi di App Store. A quanto sappiamo, come riferito anche dai colleghi di ArsTechnica, semplicemente gli sviluppatori potrebbero decidere se rendere i loro giochi per iPhone e iPad fruibili anche su Mac, con il minimo sforzo. Fine delle difficoltà.

Un processo decisamente più scorrevole rispetto ai porting dei titoli per Windows, ma che presta il fianco a un altro compromesso: con tutto l'affetto e l'amore del mondo per il gaming mobile che può tenerci compagnia su un treno, al ritorno da scuola o dove vi pare, non possiamo paragonare la profondità e la finezza di esperienza e design raggiungibili da un cosiddetto AAA e quello che possono offrire titoli pensati per essere fruiti prima di tutto solo su touchscreen.

Per quanto ottime siano alcune esperienze che abbiamo esperito su mobile (vi raccomando la mia recente recensione di The Last Campfire, ad esempio, uscito proprio su piattaforme Apple), la sintesi è che con questa mossa Apple rinuncerebbe del tutto a qualcosa di diverso – immaginiamo un Control, un Resident Evil 3, un Death Stranding, un Horizon: Zero Dawn, per parlare di giochi che sono stati molto chiacchierati di recente su PC. Ma, rinunciando a qualcosa di diverso, darebbe comunque accesso a una libreria di giochi ben più ampia di quella attuale. Da qualsiasi lato la si guardi, la coperta è corta: i giochi che possono arrivare con i porting da PC sono esperienze profonde e complete, ma ne arrivano pochi. I videogiochi pensati per mobile sono più immediati e accessibili, è vero, ma sono tanti.

L'altro segnale di apertura concesso da Apple è nelle periferiche: la Mela ha confermato il supporto a diversi nuovi controller, da Xbox One Elite 2 all'indispensabile Xbox Adaptive (che ha un posto speciale nel nostro cuore, come immaginerete), a DualShock 4 – e a tutte le loro specificità, come la barra luminosa sul controller Sony. Un modo per rendere più facile vivere i videogiochi anche su Mac.

Chi ha bisogno di una console?

Il tentativo messo in campo con Apple Pippin di avere una propria console fisica è tristemente naufragato. Mac OS ha deciso di non rinunciare del tutto al gaming, ma di cambiare modello, aprendosi di più ad App Store e rendendo più accessibile la piattaforma agli sviluppatori di app per iOS. In tutto questo, Apple Arcade consente per 4,99€ di accedere a una libreria di oltre cento videogiochi, anche offline, senza microtransazioni. Come da fresco annuncio, oltretutto, fa parte dell'abbonamento onnicomprensivo Apple One, che propone anche news, Apple TV+, iCloud e Apple Music, a partire da $14,95.

A questo, sommiamo l'esistenza di Apple TV, un mini-dispositivo simile alle Android TV, che potete collegare al vostro televisore per riprodurre le applicazioni che preferite – giochi compresi, con supporto anche ai controller. Ecco, allora, servito un quadro completo del rapporto di Apple con il gaming: Apple non lavora a una sua piattaforma per i videogiochi perché ce l'ha già, solo che non è una console tradizionalmente intesa. Non c'è un'altra Apple Pippin nei piani di Cupertino, ma l'idea di valorizzare quell'App Store che consente a Tim Cook e compagni di incassare il 30% da ogni acquisto che avviene in ogni videogioco – un dettaglio che ha scatenato le furie di Epic Games e il caso Fortnite.

Proprio quest'ultimo ci dà uno spunto importante sul fatto che Apple abbia già, volenti o nolenti, un ruolo da player importante nel mercato dei videogiochi: se così non fosse, Epic non avrebbe fatto fuoco e fiamme per l'addio di Fortnite ad App Store. Sommiamoci anche il due di picche che venne rifilato a Microsoft per xCloud, respinto da App Store, che solo di recente ha visto un'apertura – a patto che tutti i giochi vengano sottoposti allo store come applicazioni singole, il che suona abbastanza proibitivo da un punto di vista logistico.

Insomma, se un occhio meno attento potrebbe osservare la situazione e domandarsi perché, in un mercato dove i giganti della tecnologia investono per le loro piattaforme proprietarie, Apple si limiti ad App Store e Apple Arcade, la realtà dei fatti è che la Mela non ha bisogno di fare di più. Nel 2018, la compagnia che ha guadagnato di più dal mondo del gaming è stata Tencent. Alle sue spalle Sony, Microsoft... ed Apple. I dati del 2018 parlavano di $9,45 miliardi incassati dal settore gaming nei dodici mesi, con una crescita del 18% rispetto al 2017. E Apple non si occupa nemmeno primariamente di videogiochi.

In conclusione

Apple ha appena rinnovato la sua linea di iPad, ha annunciato i suoi nuovi Apple Watch, guarda sempre di più al mondo del fitness in cui vuole accompagnarvi grazie ai wearable, ma non aspettiamoci che nel breve periodo si lanci nel mercato dei videogiochi con una console tradizionalmente intesa. Non solo perché non ha interesse a scontrarsi con giganti che si dividono il settore, ma perché investire per proporre qualcosa di peculiare – come di solito la Mela vuole fare – potrebbe semplicemente non essere abbastanza remunerativo, rispetto al 30% garantito da ogni foglia che si muove su App Store.

Pensiamo anche al fatto che non sappiamo nemmeno noi dove saranno le console tradizionalmente intese da qui a cinque anni – in un'epoca in cui si guarda con occhi ammiccanti al cloud, i servizi di gaming on demand sono diventati sempre più da vetrina e perfino una compagnia fondamentale nel gaming come Microsoft si è staccata sempre di più dal concetto della singola piattaforma fisica, strizzando l'occhio a un ecosistema ben più ampio e che su base quotidiana salta il fosso da Xbox a Windows passando per il cloud.

Perché Apple, in questo contesto, dovrebbe mai fare qualcosa di diverso dal monetizzare quello che già monetizza e come lo monetizza? Già. Perché?

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