Alba d'Acciaio spinge Fallout 76 nella direzione giusta

Dopo il buon Wastelanders, Bethesda Game Studios prosegue sul percorso tracciato dall'ultima espansione e arricchisce la sua narrativa

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a cura di Paolo Sirio

Fallout 76 è a mani basse il progetto più discusso da quando la proprietà intellettuale è finita nelle mani del team di Bethesda Game Studios, pur arrivando dopo un quarto capitolo numerato accusato di semplificare alcuni dei capisaldi del franchise che, invece, avevano avuto un'elevata risonanza con il pubblico e la critica in Fallout New Vegas
– guarda caso, curato da Obsidian Entertainment e non dal gruppo di studi guidato da Todd Howard.

Ritrovandosi a battagliare con chi, come del resto il sottoscritto, provava nient'altro che amore per la natura single-player della serie, da survival online questo settantaseiesimo capitolo – ma forse stiamo sbagliando i calcoli... - ha dovuto scontrarsi con una mole di preconcetti esponenziali, finendo derubricato a flop con una fretta forse eccessiva ma innegabilmente minato da difficoltà tecniche persino superiori alle aspettative nonché da un design al tempo stesso ambizioso e opportunista.

Howard e i suoi ci hanno raccontato, a ridosso della presentazione del gioco, che saremmo stati noi a “riempire” il mondo di Fallout 76, con espedienti come la fantasia del mercante, e che de facto la componente umana avrebbe sopperito l'assenza degli NPC; che questo non voleva essere il solito Fallout e rendere subito l'idea di un prodotto diametralmente diverso, se non complementare, rispetto alla saga principale.

Le cose, chiaramente, non sono andate come auspicato e, mentre nella nostra diffidenza abbiamo comunque sperato che la popolazione del titolo sarebbe stata tanto elevata da garantire quella componente umana in cui confidava Bethesda, per un anno e mezzo si sono fatte largo asperità quali una mappa desolata o al più accesa soltanto dai soliti eventi a tempo e quest poco ispirate in cui a spiccare era solo il tempo medio richiesto per una lunga passeggiata tra i diversi punti da raggiungere.

Dov'eravamo rimasti

Poi è arrivato Wastelanders, all'incirca un anno e mezzo dopo il lancio originale, e – contrariamente a quanto capita spesso nell'industria – ha avuto il coraggio di cambiare in maniera radicale la rotta del progetto, voltando le spalle ad uno dei capisaldi per venire incontro alla community, ma soprattutto per sistemare il gioco in uno dei fondamentali che proprio non andavano.

La prima grande espansione di Fallout 76 è stato di fatto un ribaltamento del gioco stesso, ben oltre l'evoluzione continua che ci si aspetta dai service game quando gli sviluppatori le provano tutte per tenerli vivi; c'è stato un tentativo di battle royale con Nuclear Winter, ovviamente, ma a fare più rumore, in un senso stranamente positivo, è stata la riscrittura del principio su cui si era poggiata integralmente la produzione: l'assenza degli NPC.

Chi abbia giocato un qualunque Fallout saprà dell'importanza dei personaggi non giocanti nell'economia dei diversi capitoli della serie: non si tratta soltanto di una presenza, ma di tutte le ramificazioni possibili quando questi sono in giro per l'ambientazione. Insieme ai personaggi, che hanno di certo contribuito a dare maggiore calore rispetto alla lettura di fredde righe di codice sugli impersonali terminali, sono arrivati i dialoghi e con i dialoghi sono arrivate le scelte che sono un esempio tipico di ciò che si immagina parlando di questa proprietà intellettuale.

Da lì in poi è stato tutto quasi una conseguenza diretta: Bethesda Game Studios non sta facendo salti mortali né miracoli ma, con questa semplice mossa, è stato risollevato l'interesse nei confronti del gioco, che ha un po' riconquistato gli aficionados della saga, e soprattutto si è creata una storia totalmente nuova e degna di essere vissuta come quella di un autentico Fallout affianco alla blanda storyline originale – che rimane disponibile come un percorso a parte per coloro che non l'avessero provata al day one, com'è stato per qualche tempo su No Man's Sky, ma che vi consigliamo di evitare a pie' pari a meno che non abbiate bisogno urgentemente di livellare.

Ricominciare oggi su console, dove abbiamo giocato Alba d'Acciaio, significa avere a disposizione un playground completo dove accedere ad una storia interessante con personaggi che valga la pena approfondire, quelli di Wastelanders e della nuova espansione, così come – va precisato ad onor del vero – un comparto tecnico datato: datato sia nel puro aspetto estetico (che non fa fede ad una direzione artistica ispirata, lato musiche e lato visivo), sia nelle performance bloccate ad una terribile parvenza di 30 fotogrammi al secondo con cui è difficile persino mirare durante le sparatorie, che speriamo raddoppino presto con un upgrade dedicato ora che l'hardware per reggerlo c'è e per i quali, ad oggi, rimane preferibile concentrarsi sulla versione PC.

Alba d'Acciaio

Alba d'Acciaio capitalizza il lavoro compiuto da Wastelanders, presentandosi come primo update regolare in seguito alla stabilizzazione del codice e dei server, e all'organizzazione di una struttura che permettesse espansioni contenutistiche simili. Fino allo scorso aprile, parliamoci chiaro, non sarebbe stato possibile introdurre meccaniche relazionali e decisionali simili, e di certo sarebbe stato interessante – non preferibile – capire dove Bethesda Game Studios avrebbe voluto portare il suo gioco.

Ora che il gioco funziona, al di là delle limitazioni tecniche di un motore grafico evidentemente non noto per la qualità delle animazioni né per l'assenza di glitch, il team al servizio di Todd Howard ha potuto concentrarsi sul proporre una narrazione che mandasse avanti l'universo di Fallout 76 e introducesse un'altra fazione dopo le due di Wastelanders: una vecchia conoscenza come la Confraternita d'Acciaio.

Una dislocazione della Confraternita d'Acciaio, nome familiare agli amanti della serie, è appena arrivata nell'Appalachia con l'intenzione di mettersi al servizio della comunità e ripulire un'area gravemente colpita dalla guerra atomica che ha messo gli Stati Uniti a soqquadro come da incipit della storia.

Nonostante questa missione caritatevole o quasi, il tratto della Confraternita rimane sempre lo stesso: un'organizzazione convintamente gerarchica, in cui la catena di comando è costituita da tanti anelli ognuno collegato al precedente e dipendente da quello successivo; alcuni avvenimenti che esploreremo nella storia, però, sia prima che dopo il nostro incontro con i membri del gruppo, ne scuoteranno le visioni e i rapporti di forza in un modo che soltanto nelle parti seguenti dell'espansione – quello disponibile è infatti soltanto il primo atto – verrà delineato appieno.

Per larga parte, Steel Dawn (titolo in lingua originale) mette sul piatto un autentico gioco di ruolo nella definizione più tradizionale, in cui saremo chiamati, ad esempio, a tirare una leva con forza o con delicatezza e scoprire le conseguenze nell'immediato del nostro gesto, e un Fallout 4 in miniatura specialmente nella terzultima e nella penultima missione dall'atmosfera molto intensa, quasi da survival horror, con le munizioni contate e la necessità di girare l'angolo con tutta la cautela possibile.

Grazie alla creazione di nuove aree al chiuso e sotterranee fatta ad hoc per questa espansione, sono state limitate le lunghe passeggiate all'aperto in mezzo al nulla e quelle traversate che nel gioco originale sapevano tanto di riempitivo per interi pomeriggi o serate nei quali passavi il tempo senza davvero capire per bene come lo avessi fatto, e le missioni in sé tornano ad assistere ad un ritrovato impegno sotto il profilo dell'ingegno e del design che non si è accontentato di metter su quantità.

Le dieci missioni della questline sono tutte piuttosto brevi, per una longevità totale teorizzata intorno alle quattro ore ma che nella nostra esperienza sono state molte di più, probabilmente il doppio. È un peccato che non ci siano secondarie né un sistema che, nell'endgame, proponga altro di “scriptato” da fare per conto della fazione, e da limare ci sono anche difetti congeniti come la perenne carenza di munizioni che ora deve confrontarsi con alcune quest che prevedono di abbattere praticamente tutto il bestiario del franchise in una sola location.

Nel tentativo di imprimere un climax ascendente alla (piccola) storia, ad esempio, la penultima missione ci vede impegnati contro qualunque creatura di Fallout vi venga in mente e questo potrebbe essere un bene, ma la costruzione dell'ambiente a porte dalle dimensioni abbastanza contenute impedisce al Deathclaw di raggiungere un determinato punto dal quale si può sparargli contro senza temere ritorsioni; ancora, l'ultima missione fa sì che il giocatore sia affiancato da due membri della Confraternita di livello 50, quando il requisito per accedere all'espansione è il livello 20, per cui vi sentirete, più che protetti, accuditi e un po' inutili.

Alba d'Acciaio prevede una scelta finale ma questa non ha alcun effetto a stretto giro: che si parteggi per un personaggio anziché un altro, cosa che non abbiamo stentato a fare vista la “simpatia” di uno dei due (ma non faremo spoiler), assistiamo alla stessa scena e allo stesso finale, con conseguenze soltanto nei rapporti con tali NPC che nel breve termine non hanno alcun impatto su quello che potremo fare nel gioco – tant'è vero che, come anticipavamo, non ci sono altre missioni da completare una volta terminata la questline principale.

Adesso che abbiamo avuto potere decisionale, per fornirvi un giudizio sulla bontà del trattamento di tale scelta dovremo attendere l'arrivo della seconda parte dell'espansione, per la quale sarà interessante capire come Bethesda Game Studios avrà intenzione di far reagire il mondo online dell'Appalachia; da quella reazione, evidentemente, dipenderà non poco di ciò che penseremo dell'update.

Fino ad allora, Fallout 76 si affida alla nuova meccanica dei Rifugi per sviluppare il suo endgame: si tratta di basi sicure che potremo costruire, grazie a botole chiamate Ingressi, al di sotto del nostro regolare C.A.M.P. Sarà possibile crearne fino a tre, uno per ciascun tipo attualmente disponibile e persino uno sotto l'altro, e – questa è la vera differenza rispetto al campo normale – con un 15% di budget in termini di risorse e spazio aggiuntivo dovuto al fatto che il mondo del gioco non viene caricato quando siamo al suo interno.

Questo vuole anche dire più piani in verticale e niente invasioni da creature dell'Appalachia, per un vero e proprio angolo di pace nel bel mezzo del mondo post apocalittico ulteriormente rimpolpato di conflitti da Steel Dawn. A livello di economia interna, la gestione sembra essere abbastanza trasparente: il primo rifugio viene regalato a tutti al termine di una breve quest reperita in una qualunque stazione ferroviaria, mentre gli altri costano valuta sbloccabile attraverso le missioni S.C.O.R.E. (quanto gli piacciono gli acronimi?) o denaro reale – quello, delizioso, a tema Vault costa 1800 atomi. Se siete fan della componente dell'housing, diversamente dal sottoscritto che in genere punta molto sulla declinazione narrativa dell'IP, avrete pane per i vostri denti.

In conclusione

Alba d'Acciaio spinge Fallout 76 lungo la strada inaugurata con successo da Wastelanders ma, diversamente da quest'ultimo, non imbastisce una storyline da dodici ore; l'idea è proporla scomposta in più parti da circa quattro ore l'una e incentrarla su un'unica fazione, quella amata/odiata della Confraternita d'Acciaio. Nel complesso, lo sforzo è apprezzabile ma apprezzeremmo ulteriormente, per il prossimo pezzo, un endgame collegato al tema introdotto più corposo e un equilibrio più curato in rapporto con la sfida proposta, in modo che, sì, si resti nel survival ma si eviti che tale componenti causi frustrazione.

Resta da vedere con quale frequenza arriveranno le altre parti e come reagirà il mondo del gioco di fronte alle scelte che prenderemo alla fine di ciascuna di loro ma non c'è dubbio che il percorso intrapreso dal titolo online, magari ampliabile con ancora maggiore convinzione più avanti, sia finalmente quello giusto.

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